Angolo della Salute

CORONAVIRUS: BURIONI, “VACCINO USA PASSO NOTEVOLE MA NON STAPPATE CHAMPAGNE”



“Un passo notevole verso la sconfitta di questo maledetto coronavirus” anche se “i risultati della sicurezza sono meno fantastici, la tollerabilità del vaccino non è stata eccezionale”. E’ il giudizio del virologo del San Raffaele di Milano, Roberto Burioni, sul vaccino sperimentale mRna-1273, prodotto da Moderna e progettato per proteggere da Sars-CoV-2, i cui primi risultati preliminari sono stati pubblicati sul ’New England Journal of Medicine’. “Primi dati dicono che funziona”, avverte Burioni che aggiunge “non stappate lo champagne, perché non c’è nulla di definitivo. Quarantacinque pazienti seguiti per 57 giorni sono un niente rispetto ai miliardi di persone che dovrebbero essere vaccinate”.

“Però il nostro sentimento deve essere quello di una squadra di calcio che scende in campo davanti ai più forti del mondo, che dopo 20 minuti del primo tempo poteva essere sotto 0-4 e invece si trova a vincere 1-0. La partita è lunga e tante cose possono succedere, ma – credetemi – quella di oggi è davvero una bellissima notizia che legittimamente ci spinge a un notevole ottimismo”, suggerisce lo scienziato.  Nel vaccino americano “è stato usato del materiale genetico in grado di far produrre alle nostre cellule la proteina S, quella che permette al coronavirus di infettare le cellule. Ebbene i primi dati sembrano indicare che funziona – avverte Burioni – Sono dati estremamente preliminari e derivano da soli 45 pazienti, giovani e in ottima salute. Ebbene, dopo due somministrazioni di vaccino tutti i partecipanti hanno sviluppato un titolo alto di anticorpi diretti contro la proteina S e, soprattutto, in grado di neutralizzare Sars-CoV-2. Paragonando la quantità degli anticorpi neutralizzanti nei vaccinati a quella presente nel siero delle persone guarite, i vaccinati sembrano avere una risposta più potente. Non si poteva chiedere di meglio”. “Ora giustamente qualcuno si chiederà: gli anticorpi neutralizzanti proteggeranno dalla malattia? La risposta – precisa il virologo – a
questa domanda verrà solo da ulteriori evidenze e sperimentazioni cliniche. Però quello che possiamo dire è che questa misurazione è la più affidabile tra quelle che si possono fare in laboratorio e che –
in modelli animali molto simili all’uomo come i macachi – la presenza di anticorpi neutralizzanti significa protezione dall’infezione che causa Covid-19. Nell’uomo lo vedremo presto”.

L’altra faccia della medaglia sono “i risultati meno fantastici sul
fronte della sicurezza: anche se non ci sono stati eventi gravissimi,
la tollerabilità del vaccino non è stata eccezionale – osserva – Uno
dei 45 partecipanti che ha ricevuto la dose più alta ha avuto
addirittura la febbre fino a 39.6, niente di tragico, ma probabilmente
sarà necessario lavorare per capire quale dose di vaccino offre il
maggiore compromesso tra protezione e sicurezza, ma ripeto non sono
emersi dati che mettano in pericolo la prosecuzione dello sviluppo”.

Quello richiedeva più o meno sei-otto anni è
stato fatto in 66 giorni – sottolinea Burioni ricordano i risultati
dello studio – Questo infatti è il tempo che è trascorso dalla
definizione della sequenza del nuovo virus alla prima somministrazione
del vaccino a un paziente. Se qualcuno mi avesse chiesto un anno fa: è
possibile fare una cosa del genere? Io avrei risposto certamente no.
Per fortuna la scienza va più veloce della nostra fantasia”.

Questo vaccino segue una strada radicalmente innovativa – ricorda il virologo – infatti per vaccinare il paziente si inietta direttamente materiale genetico, che viene usato dalle cellule umane per sintetizzare la proteina del virus contro la quale si vuole che il paziente produca anticorpi. In altre parole, con i vaccini più tradizionali noi produciamo la proteina del virus in laboratorio, la purifichiamo e poi la iniettiamo nel paziente, che se tutto va bene produce anticorpi contro di essa. In questo caso invece la ’macchina’ che produce la proteina è il paziente stesso. I vantaggi sono la velocità di sviluppo del vaccino e la facilità (ed economicità) di produzione; lo svantaggio è che non si sa se funziona


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