Fatti di Roma

IL MEGLIO IN EDICOLA DI MERCOLEDI’ 11 FEBBRAIO 2015

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corriere della sera

Pigneto e Monti, le mani della camorra (Fulvio Fiano – Ilaria Sacchettoni)

S’incontravano a Monti, dominavano la Tuscolana, si preparavano a infiltrare le grandi periferie: Ponte di Nona, la Borghesiana, il Quarticciolo, Torre Spaccata. Generali e manovali, tutti avevano un soprannome. «Ubriachella», «Suino», «Ice», «Vescovo», «Monsignore», «Zio», «Avvocato»: alcuni fra i 61 arrestati per associazione mafiosa, comunicavano al telefono (poco) grazie a schede fittiziamente intestate. Rituali e gerarchie erano gli stessi delle organizzazioni criminali tradizionali a cui, del resto, i luogotenenti di Michele Senese «’o pazzo» dovevano l’origine camorristica.

L’incondizionato rispetto per il capo Roberto Pagnozzi — che si muove con pass intestati a invalidi per l’area a traffico limitato — al cospetto del quale solo pochi erano ammessi; l’assistenza alle famiglie degli arrestati; il vincolo di subordinazione esteso anche alla donna del boss. Pagnozzi, storicamente affiliato al clan Senese — rispettivamente mandante ed esecutore del delitto di Giuseppe Carlino nel 2001 — operava con il potere della violenza e dell’intimidazione. Dall’inchiesta dei pm Giuseppe Cascini, Francesco Minisci e Rodolfo Sabelli, coordinati dall’aggiunto Michele Prestipino, emerge che i vertici del sodalizio, «pur mutuando molte delle caratteristiche tipiche delle consorterie camorristiche, avevano adeguato il proprio modus operandi tenendo conto delle caratteristiche dell’area geografica in cui operavano».

Il core business erano droga, usura, scommesse clandestine e videogiochi. Mentre per reinvestire i proventi si servivano del cassiere Massimiliano Colagrande, detto «Small», già militante della destra eversiva romana e indagato per Mafia Capitale, amico di Luigi Ciavardini, il Nar accusato della strage alla stazione di Bologna. Il bar era «Il Tulipano» al rione Monti. […]

Messaggero

Luci rosse, la frenata della giunta (Simone Canettieri)

Si spengono le strade a luci rosse all’Eur. La proposta del mini sindaco Pd Andrea Santoro, dopo giorni di polemiche e ”scomuniche” della Chiesa, non è più in campo. L’ufficialità ieri sera dopo una telefonata tra il sindaco Ignazio Marino e il commissario del Pd Matteo Orfini, colloquio che ha preceduto la riunione di giunta politica con l’audizione di Santoro, durata due ore. Non ci saranno dunque zone di tolleranza nel quartiere razionalista, ipotesi bocciata subito dal prefetto Giuseppe Pecoraro, perché «fuorilegge in quanto si sarebbe profilato il reato di favoreggiamento».

Per l’Eur, ma anche per gli altri quartieri più a rischio, si cercherà di affrontare «in maniera decisa» il problema della prostituzione per strada. Con l’ordine pubblico, portando la questione al centro del tavolo sulla sicurezza in Prefettura, e con la prevenzione e l’ascolto, rimpinguando l’apposito fondo anti -racket Roxanne, rimasto a secco. In ballo due milioni di euro per tutta la Capitale: questa mattina l’incontro tra l’assessore al Bilancio Silvia Scozzese e quella al Sociale Francesca Danese. Non è escluso che Marino nei prossimi giorni pensi anche a ordinanze deterrenti: multe per i clienti, che si fermano a contrattare, e per le prostitute. «Prima di tutto vengono le famiglie che abitano nella zona e le donne vittime dello sfruttamento», ha ripetuto il chirurgo dem in giunta. Ci saranno nuovi controlli notturni con il coinvolgimento anche della la polizia municipale.

Insomma, «la boutade», come l’ha chiamata il prefetto è «servita a portare il tema di nuovo al centro del parlamento», è la linea concordata da Marino e Orfini per non pronunciare la parola «retromarcia» o «dietrofront». Che tale è rispetto all’idea lanciata in prima battuta. Di sicuro sulla zonizzazione del sesso all’Eur si stava per assistere a un vecchio schema: sindaco da una parte e il suo partito, romano e nazionale dall’altra. Ieri sera l’intesa, funzionale appunto alla riunione di oggi al Nazareno con parlamentari, consiglieri e assessori e Santoro. […]

Repubblica

Inchiesta sui vigili, nel mirino 600 medici (Maria Elena Vincenzi)

E ora sotto accusa rischiano di finire anche i 600 medici che hanno firmato i certificati dei 634 vigili urbani che la notte di Capodanno non si sono presentati al lavoro. È questa la nuova frontiera dell’inchiesta della procura dopo che tre persone sono state iscritte nel registro degli indagati. Tre agenti che, secondo i primi accertamenti, avrebbero promosso, pubblicizzato e sponsorizzato l’assenza di massa denunciata il primo giorno dell’anno. Sarebbero stati loro, ora accusati di interruzione di pubblico servizio, truffa e falsità ideologica, a sobillare i colleghi per boicottare il servizio del 31 dicembre.
Ovviamente a fronte di un certificato medico. Secondo l’ipotesi dei due pubblici ministeri che si occupano del caso, Stefano Fava e Nicola Maiorano, i tre vigili avrebbero utilizzato mezzi informatici, mail e anche Facebook per fomentare la diserzione di massa dal lavoro. E proprio per questo i due magistrati, coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Caporale, avrebbero inoltrato una rogatoria negli Stati Uniti per chiedere al social network se oltre ai tre agenti finiti sotto inchiesta, altri abbiano utilizzato Facebook per contattare i colleghi e invitarli a non presentarsi al lavoro. […]
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L’orchestra Garcia e la sinfonia del gol (Chiara Zucchelli)
«Meglio tanti giocatori in grado di segnare che uno solo da 30 gol». Rudi Garcia disse questa cosa a Lille, qualche settimana prima di vincere il campionato. Lo ha ribadito a Trigoria la scorsa stagione e anche quest’anno, che pure la sua Roma è in deficit da gol. Con la rete di Paredes a Cagliari i fatti gli hanno dato però ragione, perché l’argentino è il 15esimo marcatore stagionale e anche il più giovane, con i suoi 21 anni da compiere a giugno, mentre il più grande è Totti, che quando è nato Paredes giocava già da un anno in Serie A. Dei 15 giocatori che hanno segnato tra campionato, Champions e Coppa Italia, nessuno è arrivato in doppia cifra, ma il fatto che, esclusi i portieri, il 60% dei calciatori impiegati per almeno un minuto (25) abbia segnato almeno un gol è un dato di cui tenere conto.
Soprattutto perché ne tiene conto Garcia, che da quando è a Trigoria insiste, e parecchio, sul lavoro tecnico e suoi tiri in porta a fine allenamento. Non è un caso, ad esempio, che Nainggolan, in un anno e un mese di Roma abbia già segnato 5 reti, quasi la metà (11) di quante ne aveva fatte in tutta la carriera. Il capocannoniere della squadra è Ljajic con 8 reti tutte in campionato, seguito da Totti (6, di cui 2 in Champions) e Gervinho, 5, di cui 3 in Europa, e Destro. In attacco poi, senza contare i due neo arrivati Ibarbo e Doumbia, hanno segnato tutti, mentre in difesa tra gli esterni l’unico rimasto a secco è Cole e tra i centrali, al contrario, l’unico che ha segnato è stato Astori. Nessuno, infatti, ha seguito le orme di Benatia, che nella sua unica stagione romanista aveva segnato 5 reti in 37 partite.
Con il gol di Paredes, sono soltanto 2 i centrocampisti che non hanno trovato la via della rete. Da una parte Uçan, impiegato per soli 3’, dall’altra Strootman, che sognava di ritrovare il gol dopo l’infortunio ma ha dovuto rimandare tutto alla prossima stagione. In mezzo al campo, i più prolifici sono Pjanic e Nainggolan (3 reti a testa), un gol lo ha fatto anche Keita, mentre De Rossi è già a quota 2, cosa che non gli succedeva dalla stagione 2011-2012, con Luis Enrique in panchina. Una rarità, per uno nato attaccante e che nella stagione 2009-2010 è arrivato a segnare 11 reti in tutte le competizioni.
Quest’anno, in attesa che cominci l’Europa League, l’unico ad andare a segno in campionato, Champions e Coppa Italia è stato Iturbe, con 3 reti, una per manifestazione. L’argentino sta recuperando dal doppio infortunio alla caviglia e al ginocchio e ha abbandonato le stampelle. […]
Bufera Lazio-arbitri Lotito non ha dubbi «Ce l’hanno con me» (Stefano Cieri)
La Champions si allontana, forse definitivamente, e anche la Lazio mette nel mirino la classe arbitrale. Un cambio di strategia copernicano per il club romano, da sempre «istituzionale» per via degli incarichi federali del suo presidente, e quindi refrattario alle polemiche con i direttori di gara. Stavolta, però, il consueto aplomb cede il passo ad accuse pesanti. Il sospetto, paventato dal tecnico Pioli dopo la partita di lunedì col Genoa («minata la credibilità del sistema»), viene esplicitato in maniera ancora più chiara dal presidente Lotito.
Un’esternazione, quella presidenziale, che è una sorta di fuori onda, ascoltato però da numerose persone presenti lunedì sera presso il bar dell’Olimpico. E’ l’intervallo di Lazio-Genoa e l’arbitro Gervasoni ha già preso una serie di decisioni che hanno fatto perdere le staffe ai laziali. Lotito, incrociando il designatore della CAN B Stefano Farina, non le manda a dire: «Gli arbitri ce l’hanno con me, eppure da consigliere federale ho fatto tanto per la loro associazione…. È chiaro che da qualche tempo io e la Lazio siamo penalizzati, ora voglio il sorteggio integrale». La dietrologia è presto servita: la scorsa estate alle elezioni federali la componente degli arbitri votò contro Tavecchio, il candidato appoggiato da Lotito. Da qui il sospetto di una sorta di rappresaglia. Che ovviamente Lotito si guarda bene dal dichiarare ufficialmente. Anzi, ieri, il presidente ha voluto pure parzialmente rettificare la frase pronunciata in zona mista nel dopogara («Preparate i passamontagna…»). «Ho parlato di passamontagna – ha precisato Lotito all’Ansa – perché faceva un freddo incredibile, tanto è vero che sono ammalato e sto prendendo un antibiotico. Quanto agli arbitraggi nelle partite della Lazio sono sotto gli occhi di tutti, ne ha parlato diffusamente il nostro tecnico Pioli…».
Ma su cosa si basa il sospetto che la classe arbitrale abbia preso di mira la Lazio? Innanzitutto la direzione di Gervasoni di lunedì. I laziali lamentano il metro usato (fiscale con loro, permissivo con i genoani) e soprattutto il fallo fischiato a Klose sullo 0-0 (Candreva lanciato a rete tutto solo). In precedenza c’erano stati a Cesena il fallo non rilevato di Rodriguez su Mauricio (sul secondo gol dei romagnoli); la mancata concessione di due rigori nel match col Milan (falli su Radu e Mauri); il penalty non fischiato nella partita col Napoli (doppio mani di Albiol e Maggio); i falli non rilevati su Djordjevic e Parolo nell’azione del primo gol romanista nel derby; la mancata espulsione di D’Ambrosio in Inter-Lazio. Più in generale, c’è un dato che fa riflettere: in 22 giornate di campionato la Lazio ha avuto un solo rigore a favore e l’ha avuto alla prima giornata (a San Siro col Milan, Diego Lopez lo parò a Candreva). […]
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