Giovani e Scuola

EDUCARE AL DIVERTIMENTO: UNA PRORITA’ FIN DALL’INFANZIA

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Ormai si educa a tutto, in certi casi si rieduca, ma c’è un aspetto che il mondo educante non sta affrontando: il divertimento. Qualcuno potrebbe obiettare che esistono progetti di educazione al tempo libero, con assessorati e uffici pastorali, ma il tempo libero ed il divertimento hanno, nella testa degli adulti ed in quella dei più giovani, un definizione diversa ed a volte antitetica.

Ad esempio, il genitore che accompagna suo figlio al campo o in palestra tre volte la settimana per gli allenamenti e nel week-end per la partita, mette tutto in quota-divertimento, mentre per il figlio si tratta di un impegno che magari vive con entusiasmo e passione, ma che non è divertimento.

Divertimento è uscire, andare fuori con il gruppo dei pari, stare lontani da tutto ciò che puzza di ordine e regola, siano essi genitori, insegnanti o sacerdoti, percepiti come agenti allergenici e come antidoti al vero divertimento, quello che i mass-media offrono 24 ore al giorno a fasce sempre più precoci di popolazione: ascoltando una canzone o vedendo un video, per esempio, si può facilmente intuire che il divertimento ha due caratteristiche che richiamano l’epoca pagana: è orgiastico e dionisiaco, ovvero è finalizzato alla sovraeccitazione dei sensi e all’andare fuori controllo, in un tempo sospeso, moderatamente o completamente privo di regole. L’archetipo di questa prospettiva è ben rappresentato da We can’t stop, una canzone interpretata da Miley Cyrus: “Questa è la nostra casa, queste sono le nostre regole e non possiamo fermarci e non ci fermeremo, non capisci che è così che si possiede la notte? (…) Siamo tutti così accesi qui”.

Dobbiamo constatare che le comunità cristiane o gli enti ecclesiali preposti all’educazione alla fede stanno andando in due direzioni opposte, parimenti problematiche. La prima è offrire percorsi catechetici, sacramentali, come pure di animazione senza prestare interesse a dove vanno e cosa fanno per divertirsi quegli stessi adolescenti e giovani che ufficialmente vi partecipano. La seconda è riproporre nelle comunità cristiane o in occasione di eventi ecclesiali, quegli stessi modelli di divertimento che adolescenti e giovani possono trovare anche fuori, con la falsa aspettativa che “così si divertono e rimangono con noi”.

Don Bosco, che la sapeva lunga anche rispetto a molti soloni contemporanei, con l’oratorio evitava che i giovanissimi stremati dal lavoro o abbandonati a loro stessi, si ubriacassero nelle piole, le osterie cittadine. Il suo esempio indica che il punto di arrivo è una comunità cristiana capace di fare argine allo strapotere attrattivo e parimenti distruttivo dei modelli di divertimento più diffusi. Ma c’è un primo passo da fare: convincersi che, a partire dalla tarda infanzia, educare al divertimento è parte integrante del progetto educativo cristiano.

Marco Brusati

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