Giovani e Scuola

BUONI E CATTIVI MAESTRI

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Mi sono francamente stancato del solito mantra sugli adolescenti quasi fossero un’entità staccata dal mondo e non realizzassero la loro vita in un contesto relazionale. Di loro si dice: sono indifferenti; il loro abbigliamento uniformato e griffato ne è un sintomo; le bullo-gang che fanno le peggiocòse non vengono dalle periferie fisiche ma dal centro e sono figli di bravagénte; i loro genitori sono assenti, ma li difendono sempre; mancano speranze condivise; famiglia, scuola ed agenzie educative si rivelano deboli. Ora queste cose mi vengono dette anche dagli insegnanti elementari, perchè bambine e bambini si comportano sempre più come adolescenti, a fianco di adolescenti-genitori-amici.

Confesso che vorrei iniziare a sentire dagli educatori una qualche soluzione al problema, o almeno una qualche analisi non puramente descrittiva; e nemmeno vorrei continuare a sentire la classica risposta dell’ignavo “sì, ma il problema sta a monte”, perché, continuando ad andare a monte a cercare il problema, a valle succede di tutto.

Così, tanto per avviare la discussione, dico la mia, ben sapendo di non dire tutto: la principale causa del disagio degli adolescenti siamo noi adulti, nessuno escluso, anche se in misura diversa; la croce buttata addosso ai genitori ed agli educatori è operazione sbagliata perché de-responsabilizza chi non fa parte della categoria e lascia soli a remare controcorrente coloro che sono chiamati ad educare, per vocazione o professione.
 Dirò di più: gli adulti sono troppo spesso indifferenti al bene degli adolescenti e, di conseguenza,  gli adolescenti sono troppo spesso indifferenti al loro stesso bene.

Sono adulti, per esempio, quelli che gestiscono le discoteche dove, la domenica pomeriggio, svestitissime tredicenni ballano sul cubo; sono adulti quelli che, violando l’intelligenza oltreché la legge, servono alcolici ai minori; sono adulti normalissimi quelli che lasciano case e capannoni liberi per consentire ai figli ed ai loro amici di organizzare feste che, finite, vomitano sulla strada adolescenti devastati, tra cui ragazze pronte per la visita al consultorio dove scoprono cos’hanno fatto sotto i fumi dell’alcol; sono adulti quelli che producono i grandifratelli e che propongono il fannullismo come obiettivo sociale riconosciuto; sono adulti gli autori, i registi, i direttori di programmi mandati alle nove di sera che non solo buttano ragazze seminude davanti alle telecamere, ma le riprendono dal basso all’alto, in un clima di devastante normalità che poi rende abituale spiare la compagna di classe; sono adulti quelli che macellano la vita di migliaia di adolescenti e giovani fingendo di interessarsi alla loro musica e al loro ballo, ma che poi, davanti alle telecamere, li istigano al litigio, alla sfida e all’eliminazione del compagno di studi, alla ribellione verso gli insegnanti, obbligandoli a subire la dirompente umiliazione del televoto, come succede nelle varie trasmissioni dal titolo amichevole; sono adulti quelli che si beano delle infinite file di adolescenti ai provini dei reality musicali televisivi; sono adulti quelli che mettono in mano a tardoinfanti quell’esposizione universale incontrollata e incontrollabile che sono gli smartphone collegati al web. A onor del vero, sono adulti anche quelli che, in buona e santa fede, ripropongono, come in troppe comunità cristiane, stereotipi progettuali, linguistici e comunicativi obsoleti, servendo la Verità con poca fatica di pensiero, mentre là fuori altri adulti imbellettano cadaveri, spacciandoli per star ollivudiàne, con l’amaro risultato che per vent’anni, più o meno dai 12 ai 32 dicono le statistiche, quelle che dovrebbero essere le più belle risorse della Chiesa vengono in massa gettate in gorghi esistenziali diabolicamente illusori e distruttivi.

E le cose, stando al mio osservatorio, non solo non cambiano, ma stanno addirittura peggiorando. Occorre veramente fermarsi non solo a riflettere, ma a riflettere su cosa fare,  partendo, dico solo partendo, da due convinzioni.
 La prima: l’educazione deve passare da un sano rapporto degli adolescenti con i mezzi di comunicazione mass-mediale dove, spiace dirlo, i modelli antrolopogici sono radicalmente agli antipodi sia di quelli cristiani, sia di quelli che possano garantire una primaria convivenza sociale; i contenuti con cui crescono gli adolescenti smartphonizzati non vengono dalla famiglia, dalla scuola, dalla parrocchia, come molti ancora si illudono, ma da quello che arriva prima, più facilmente e più spesso, ovvero quello che hanno, è il caso di dirlo, a portata di mano. 
La seconda: è necessario diventare competenti spine nel fianco della televisione, della radio, della musica, dei gestori di reti, agendo quotidianamente nei mass-media, nella cultura, nella società e nella politica, per salvare i giovani dalla cupidigia degli adulti che di sicuro hanno a cuore il loro proprio portafoglio.

Non è vero, dunque, come dicono alcuni, che i nostri figli non hanno maestri; è vero piuttosto che i maestri ci sono, che sono troppi, che sono cattivi e che quelli buoni stanno facendo la pennichella.

Marco Brusati

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