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TUMORE AL SENO, MIX DI CHEMIOTERAPIA E IMMUNOTERAPIA PUÒ ELIMINARE CELLULE TUMORALI

Nel tumore della mammella più difficile da trattare, quello triplo negativo che colpisce soprattutto le donne più giovani e che in Italia conta oltre 7mila casi l’anno, l’associazione di immunoterapia (prembolizumab) e chemioterapia è in grado di eliminare del tutto le cellule tumorali nella mammella e nei linfonodi prima dell’intervento chirurgico. Lo dimostrano i risultati dello studio di fase 3 Keynote-522 presentato al Congresso europeo di oncologia Esmo. Lo studio ha considerato un campione di 1.174 pazienti con questo tipo di tumore allo stadio iniziale dimostrando che, prima dell’intervento chirurgico, il trattamento di immunoterapia e chemio ha aumentato significativamente la cosiddetta ’risposta patologica completa’ (ovvero l’assenza completa di tumore invasivo) rispetto alla chemioterapia da sola, dal 51,2% con chemioterapia al 64,8% con immunoterapia in associazione a chemio.

 “Nel 2019 in Italia sono stimati 53.500 nuovi casi di tumore della mammella e la forma triplo negativa, il 15%, è la più aggressiva – afferma Giuseppe Curigliano, professore di Oncologia medica all’Università di Milano e direttore Sviluppo di nuovi farmaci per terapie innovative all’Istituto europeo di oncologia di Milano -. Fino ad oggi per queste pazienti la chemioterapia era l’unica terapia utilizzabile dal momento che, a differenza dei tumori al seno sensibili agli ormoni o gli Her2 positivi, manca un bersaglio specifico per la cura della malattia. Ora, la risposta patologica completa è un parametro molto importante perché consiste nell’assenza di tumore invasivo sia nella mammella che nei linfonodi ed è strettamente correlato all’esito favorevole a lungo termine, cioè alla sopravvivenza. La nuova combinazione di immunoterapia e chemio determina dunque la scomparsa del tumore dal 51,2% delle pazienti al 64,8% e ciò vuol dire che quasi due terzi di esse al momento dell’intervento chirurgico non ha più il tumore; la massa tumorale è cioè insistente agli esami radiologici”.

L’intervento chirurgico viene comunque effettuato asportando il tessuto dove prima era presente il tumore, spiega Curigliano, “per essere sicuri che non ci sia più alcuna cellula cancerosa circolante”. Dunque, sottolinea, “cambia oggi la pratica clinica per queste pazienti perché raggiungere la totale scomparsa del tumore significa aumentare la percentuale di guarigione e non c’è aumento di tossicità della terapia combinata rispetto alla sola chemioterapia”.

Questi dati dimostrano che “la migliore risposta patologica completa – rileva Peter Schmid, della Queen Mary University di Londra, autore dello studio – si traduce in un minor numero di ricadute e questo vuol dire curare più pazienti”. Infatti, le donne con una risposta patologica completa hanno l’85-90% di possibilità di essere definitivamente curate mentre le pazienti con tessuti tumorali residui hanno il 40-50% di rischio di recidive entro tre anni. Per la rilevanza di questi risultati, l’ente statunitense per i farmaci Fda ha designato la terapia di combinazione immunoterapia-chemioterapia come ’Breakthrough therapy’. 

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