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SU TORRE MAURA INTERVIENE IL CAMPIDOGLIO, “PRIMA DEI ROM NELLA STRUTTURA UN CAS. POLEMICHE STRUMENTALI”

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La settimana scorsa lo spostamento di un gruppo di rom a Torre Maura nel centro di via Codirossoni ha portato alle violente proteste dei residenti, appoggiati da Casa Pound e Forza Nuova, e ha costretto il Campidoglio a trasferire più in fretta possibile le persone presenti in altre strutture. Questa mattina la commissione capitolina Trasparenza ha cercato di capire come e perché fu deciso il trasferimento dei nomadi a Torre Maura. A ricostruire durante la seduta della commissione l’iter amministrativo che portò allo spostamento nel centro di via Codirossoni dei 77 rom che vivevano, a tre chilometri, nel centro d’emergenza di via Toraldo è stata Michela Micheli, la dirigente responsabile dell’ufficio speciale rom, sinti e camminanti che risponde direttamente al gabinetto della sindaca e sul quale Virginia Raggi, nelle ore subito successive ai disordini di Torre Maura, ha scaricato la responsabilità dell’accaduto.

“Per comprendere la situazione – ha raccontato Micheli – è necessario fare un passo indietro. Il centro di via Toraldo è stato aperto come molti altri centri di accoglienza con affidamento diretto ad alcune cooperative sociali il 9 luglio 2012 su disposizione dell’allora direttore del dipartimento Politiche sociali per l’emergenza data dallo sgombero di 100 rom da via del Baiardo per offrire servizi emergenziali a bassa soglia in modalità accelerata. In questi casi ci sono situazioni di fragilità grave come minori e persone in disagio estremo e di fronte a queste situazioni occorre essere responsabili e attuare percorsi di gradualità, come abbiamo fatto anche a Toraldo. Ci sono stati due tentativi di regolarizzare la posizione del centro, Tronca nel 2016 ha avviato una procedura negoziata, ma l’importo a base d’asta non è stato ritenuto congruo, l’altro fatto da me partendo dal fatto che c’era bisogno di una struttura, che ospitava anche gli sgomberati di via Salaria, via Visso, via di Salone, le famiglie bosniache fragili del River e anche quelle di Fiera di Roma. Le persone non si volatilizzano e le più fragili quindi le abbiamo collocate a Toraldo”.

Micheli ha quindi spiegato come il suo ufficio ha predisposto la gara: “Abbiamo fatto una procedura di gara con l’obiettivo di allineare i contenuti del servizio a bassa soglia con quelli del piano di superamento dei campi rom approvato nel frattempo dall’amministrazione, per trasformare la struttura da centro di carattere prevalentemente assistenziale in una struttura di transito, intermedia tra un campo rom e un appartamento. La gara prevede una base d’asta più bassa del passato togliendo alcuni servizi che non ci spiegavamo, come la somministrazione dei pasti, perché queste persone devono imparare a cucinarsi da sole e portare i figli a scuola per raggiungere l’autonomia, seppure gradualmente. Sono in disaccordo con l’associazione 21 Luglio che dice che quella struttura era simile a via Visso o via Marilli, perché l’idea era davvero di accompagnamento sociale delle persone, creando anche qualche problema all’unico soggetto gestore del servizio perché da un importo mensile di 61mila euro per 90 persone eravamo scesi a 36mila euro, chiedendo un minimo contributo per le utenze idriche ed elettriche alle famiglie con un minimo di entrate”.

E qui la dirigente ha spiegato come si è arrivati allo spostamento dei nomadi in via dei Codirossoni: “La gara è stata aggiudicata con risparmio di spesa e la nuova attività sarebbe iniziata 1 aprile: a Toraldo avevamo 90 persone, e la proprietà ha proposto una struttura alternativa. Dopo la chiusura delle operazioni di gara ci siamo occupati delle 90 persone rom pretendendo da loro un primo passo verso un’integrazione partecipata e responsabile, chiedendo loro con lettere inviate il 21 gennaio che ciascuno stipulasse un contratto d’accoglienza con l’impegno a lasciare la struttura entro i 6 mesi, a fare l’iscrizione al Sistema sanitario nazionale, a produrre l’Isee, a iscrivere i figli alle scuole dell’obbligo, a mettersi in regola con le vaccinazioni obbligatorie e tutto senza essere oggetto di pene detentive, come i domiciliari, perché si tratta di una struttura di transito con turn over serrato. Su 90, in 77 hanno accettato, tra i quali 32 minori, e in 60 sono stati trasferiti a via dei Codirossoni 8, dove è successo qualcosa che non ci saremmo mai aspettati, tanto che gli altri 17 non sono riusciti nemmeno ad arrivare”.

Micheli non ha nascosto il suo stupore: “Non ce lo aspettavamo perché la struttura a Codirossoni, come confermato dalla Prefettura, dal 2014 fino al 18 dicembre 2018 era stato un centro Cas per 148 persone e prima ancora un centro Sprar, quindi c’era sempre stata una presenza cospicua di migranti appena arrivati in Italia, poi il centro è stato gradualmente alleggerito. Purtroppo una delle persone spostate è deceduta stanotte, e io sono contenta di essermi assunta la responsabilità di tutelare queste persone fino in fondo”. “Per quanto riguarda lo spostamento – ha proseguito la dirigente – parliamo di appena 3 chilometri e della stessa utenza che utilizzava gli stessi servizi da anni, non potevamo mai aspettarci che si sarebbe dato fuoco alla macchina della Sala operativa sociale o che i pulmini che si occupavano del trasferimento sarebbero stati presi a calci e sputi, non era mai accaduto, almeno negli ultimi 8 anni”.

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