Fatti di Roma

SALUTE, BATTERI “KAMIKAZE” PER SCONFIGGERE I TUMORI

batteri kamikaze


Quando dei kamikaze possono salvarci la vita.

Non è il caso di persone fisiche che immolandosi ci salvano, bensì è quello di alcuni batteri che viaggiando nell’organismo (per il momento il test è stato fatto su un topo) hanno la capacità di attaccare le cellule malate di tumore, producendo prima e rilasciando poi un farmaco, poi come una schiera di kamikaze si sono suicidati in massa, così come sono stati geneticamente programmati per sconfiggere il cancro.

Questa ricerca è stata condotta a metà tra l’Università della California a San Diego e il Massachusetts Institute of Technology (Mit) e pubblicata sulla rivista Nature ed è frutto di una programmazione accurata del DNA dei batteri che gli ha fornito due funzioni del tutto nuove: li ha trasformati in fabbriche di farmaci e in una sorta di “bomba biochimica a tempo” data la capacità di autodistruggersi dove aver attaccato una cellula con il tumore. Questa operazione è importante e aiuterà nella cura del cancro soprattutto perché impedisce alle cellule malate di moltiplicarsi e riprodursi.

Sono stati usati i batteri del genere Salmonella per questo esperimento in quanto si è riusciti ad attivare il loro processo di lisi, con il quale la membrana che li protegge si disintegra causandone la morte; l’esperimento sui topi malati di tumore del colon retto ha dato responsi positivi, soprattutto se combinati con la chemioterapia, poichè riescono a ridurre l’attività del tumore e, senza danneggiare le cellule sane, riescono anche ad evitare che ulteriori cellule vengano “infettate”.

Positivo il giudizio di uno dei pionieri della biologia sintetica, Jim Collins, del Mit: “la ricerca è una dimostrazione brillante di come la teoria possa portare a progressi significativi nelle applicazioni cliniche”. Il test sui topi, ha aggiunto, è una conseguenza del lavoro cominciato dieci anni fa dal gruppo di Hasty, sulla possibilità di sincronizzare il comportamento di un gruppo di organismi unicellulari. “Adesso – ha concluso Collins – il suo gruppo ha dimostrato sperimentalmente che è possibile controllare questo processo per ottenere un approccio terapeutico nuovo e realizzabile nella clinica”.

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