Angolo della Salute

SALUTE; BAMBINO GESU’: GENE “SUICIDA” ABBATTE I RISCHI DI MORTALITA’ NEI TRAPIANTI DI MIDOLLO

cellule staminali


I ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù hanno messo a punto una nuova tecnica che riduce a zero il rischio di mortalità nei bambini affetti da difetti congeniti del sistema immunitario che necessitano, in assenza di un donatore compatibile, del trapianto di midollo da uno dei genitori. Il risultato eccezionale è stato ottenuto grazie all’utilizzo di un gene “suicida” in grado di tenere sotto controllo eventuali infezioni dovute al trapianto. È la prima sperimentazione di questo genere nel mondo.

I dati verranno presentati a San Diego in California, il 3 dicembre 2016 nel corso del 58esimo meeting annuale della società americana di ematologia (American Society of Hematology, ASH) e dimostrano una guarigione del 100% dei bambini con immunodeficienze primitive. Tutti i 20 pazienti trattati con l’infusione del gene suicida hanno fatto registrare la completa riuscita del trapianto di midollo. Questi risultati sono in corso di validazione anche per i pazienti leucemici. I ricercatori si aspettano, infatti, che le cellule del donatore modificate con il gene suicida, oltre ad abbattere la possibilità di infezione, possano nei pazienti leucemici ridurre il rischio che la malattia si ripresenti.

COME FUNZIONA LA NUOVA TECNICA

La nuova tecnica rappresenta un’evoluzione della procedura di trapianto aploidentico (da genitore) già adottata dall’équipe del prof. Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di Oncoematologia dell’Ospedale pediatrico della Santa Sede.

Le cellule linfocitarie del genitore vengono prelevate e manipolate geneticamente per favorire il recupero dell’immunità adattiva, che protegge il paziente dalle infezioni virali o fungine. Una volta reinfuse, dunque, queste cellule si espandono e contribuiscono a proteggere il paziente. Può però accadere che aggrediscano l’organismo del ricevente (graft versus host disease): si tratta di una delle maggiori cause di morte in caso di trapianto ed è uno dei motivi per cui spesso si evita questa procedura in casi di malattie che non mettono a immediato rischio la sopravvivenza del paziente (malattie del sangue non neoplastiche).

La tecnica messa a punto dal Bambino Gesù permette ora di combattere e sconfiggere l’aggressione da parte delle cellule del donatore. Prima di iniziare il percorso trapiantologico, infatti, dal genitore vengono prelevate le cellule linfocitarie del sangue nelle quali viene inserito il gene suicida (inducibilecaspase-9 o iC9). Il tutto viene poi congelato. Due settimane circa dopo il trapianto, le cellule modificate geneticamente vengono scongelate e infuse nel bambino. Se tutto procede senza complicazioni, il gene suicida resta dormiente. Se, al contrario, si dovesse scatenare l’aggressione delle cellule del donatore nei confronti dell’organismo del paziente, si può intervenire per bloccarla. Basta iniettare nel paziente un agente di per sé inerte ma attivante il gene suicida, l’AP1903.

LA PRIMA SPERIMENTAZIONE MONDIALE

La sperimentazione condotta in collaborazione con Bellicum Pharmaceutical di Houston ha già arruolato più di 100 pazienti nel primo trial in Europa sull’infusione di queste cellule geneticamente modificate. Di questi bambini, 20 erano affetti da gravissime forme d’immunodeficienza, incompatibili con la vita in assenza di un trapianto. Allo studio, coordinato dall’Ospedale Bambino Gesù, hanno aderito anche numerosi prestigiosi centri Europei e Nord-Americani, riproducendo i dati per i quali l’Ospedale romano ha svolto un ruolo pionieristico

«I bambini trapiantati avevano già un rischio di mortalità molto bassa – spiega il professor Franco Locatelli, direttore del dipartimento di Oncoematologia pediatrica e Medicina trasfusionale del Bambino Gesù-  Adesso, questo rischio si è ridotto ulteriormente e, quindi, ci sentiamo confidenti a offrire questa importante alternativa di cura, il trapianto di midollo da genitore, anche a bambini a cui, pur non rappresentando una terapia salvavita, la procedura trapiantologica può migliorare di molto la qualità della vita. È il caso per esempio dei talassemici che prima di questa soluzione venivano trapiantati solo in caso di donatore compatibile al 100%».

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