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IL RAPPORTO DEL CENTRO ASTALLI: SUI MIGRANTI C’E’ ANCORA MOLTO DA FARE

ASTALLI


Nonostante il calo degli arrivi registrato in Italia nel corso del 2017 (119.369, rispetto ai 181.436 dell’anno precedente), l’obiettivo di un sistema di accoglienza unico e con standard uniformi è ancora lontano. I Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) restano la soluzione prevalente, mentre la rete SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti asilo e Rifugiati), sia pure in crescita, a luglio 2017 copriva poco meno del 15% dei circa 205.000 posti disponibili. Nonostante il tentativo di razionalizzare il sistema, anche attraverso misure che incentivino la partecipazione degli enti locali alla rete SPRAR, la situazione su molti territori non è in linea con quanto previsto e, in particolare, il passaggio tra la prima e la seconda accoglienza avviene con forte ritardo e per un numero limitato di persone, penalizzando la qualità dei percorsi di integrazione. Le realtà della rete territoriale del Centro Astalli lavorano prevalentemente nell’ambito dello SPRAR, dove nel 2017 hanno accolto 494 persone, di cui 255 solo a Roma.  Nonostante l’aumentata capienza del sistema di accoglienza nazionale, continuiamo a registrare, in particolare nei servizi di bassa soglia, la presenza di un numero crescente di persone che restano escluse dal sistema di accoglienza e vivono per strada. A Roma, in particolare, si tratta in molti casi di richiedenti asilo che hanno abbandonato i CAS delle diverse regioni italiane dove erano stati inizialmente accolti e che per questo, avendo ricevuto la revoca delle misure di accoglienza, restano tagliati fuori da ogni forma di accompagnamento e di supporto, materiale e legale. Non è raro il caso in cui anche la procedura d’asilo risulta sospesa o compromessa, aggravando le loro condizioni di precarietà. Da marzo 2017, con l’entrata in vigore di una delibera comunale che revocava agli enti di tutela abilitati a Roma, tra cui il Centro Astalli, la possibilità di rilasciare il proprio indirizzo a richiedenti asilo e rifugiati per l’iscrizione anagrafica, i percorsi di inclusione risultano di fatto ancora più difficoltosi.

Ma anche le assenze non ci lasciano tranquilli Il calo del numero delle persone che arriva in Europa in cerca di protezione non è necessariamente una buona notizia. Presso il Centro SaMiFo, che assiste vittime di violenza intenzionale e tortura, è cresciuto nel 2017 il numero delle persone traumatizzate in seguito al viaggio e soprattutto alla detenzione nei centri in Libia: spesso dalle visite psichiatriche e medico-legali emergono racconti drammatici di esperienze che segnano il corpo e la mente e necessitano di attenzione,  considerazione e cura. L’effetto delle misure introdotte nel corso del 2017 per ridurre il flusso degli arrivi in Europa attraverso il Mediterraneo centrale al momento implica che i migranti siano trattenuti in Libia più a lungo e che possano essere soggetti a detenzione in condizioni critiche, anche più volte nel caso in cui siano intercettati in mare e riportati al porto di partenza. Sebbene le vittime dei viaggi in mare siano diminuite nell’ultimo anno in termini assoluti, è rimasta pressoché invariata la mortalità delle rotte: sia nel 2016 che nel 2017 non ce l’hanno fatta almeno 2 migranti su 100. Ai confini d’Europa si continua a restare intrappolati in situazioni di limbo, senza speranza e, in alcuni casi, senza le condizioni minime di una vita dignitosa, come avviene ad esempio sulle isole greche.  Sebbene l’Afghanistan resti il secondo Paese di origine dei rifugiati nel mondo, il vistoso calo di presenze di cittadini afgani nei servizi a Roma mostra che i tanti che pure continuano a fuggire da un Paese ancora molto instabile e insicuro, spesso trovano la strada sbarrata.  Nel corso dell’anno infine l’emergenza abitativa a Roma si è manifestata in alcuni sgomberi di edifici occupati da anni, anche da titolari di protezione internazionale: fa riflettere il fatto che quelle occasioni siano state l’unico temporaneo momento di attenzione e visibilità per i moltissimi migranti che vivono, ormai da anni, ai margini delle nostre città. Non possiamo fare a meno di constatare che molti di loro sono privi di punti di riferimento sul territorio e che in misura maggiore rispetto al passato la loro stessa presenza è ignota non soltanto alle Istituzioni ma anche agli enti di tutela. Per ogni persona che si rivolge ai nostri servizi, non possiamo non chiederci quanti, invece, non sanno a chi rivolgersi e quanti ritengono che non valga più la pena di chiedere aiuto.

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