Fatti di Roma

IL MEGLIO IN EDICOLA DI MERCOLEDI’ 22 APRILE 2015

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corriere della sera

 

Il Consorzio per valorizzare i Fori (Maria Rosaria Spadaccino)

Ieri il regalo a Roma per il suo Natale è la promessa che l’area archeologica centrale sarà gestita da un solo ente, nato ad hoc.
È nato ieri il Consorzio Fori Romani o perlomeno è stato siglato l’accordo che promette la sua nascita entro la fine di quest’anno, dal ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini e dal sindaco Ignazio Marino (il comune è stato assistito pro bono dallo studio legale Bonelli Erede Pappalardo).

In sintesi il nuovo ente di diritto pubblico diventerà unico interlocutore per tutta l’area, sia per quanto riguarda la valorizzazione, la tutela, ma anche la gestione. Un esempio pratico? «Stiamo ragionando su un biglietto unico per gli ingressi ai monumenti dell’area archeologica centrale – precisa Franceschini. – Sarà uno dei compiti del nuovo Consorzio». Il consorzio sarà retto da un consiglio d’amministrazione composto da un presidente (nominato dal ministero d’intesa con il sindaco), dal soprintendente per il Colosseo e dal sovrintendente capitolino ai Beni culturali.

«Oggi superiamo definitivamente questa divisione tra Stato e Comune che ha radici secolari – continua il ministro – costituiamo un’unità di gestione che consentirà di valorizzare al meglio quest’area e di renderla il più straordinario sito archeologico del mondo».

Il nuovo ente avrà autonomia finanziaria, gestirà in maniera diretta o indiretta le attività di valorizzazione dei beni, l’organizzazione di mostre ed eventi, la promozione di studi, ricerche ed itinerari di visita. Curerà e promuoverà anche i rapporti con sponsor e mecenati. In un primo periodo sarà dotato di risorse iniziali conferite dal Comune e dal Mibact e «continuerà ad essere sostenuto fino al raggiungimento dell’autosufficienza dell’equilibrio finanziario da perseguire mediante la ricerca autonoma di finanziamenti». I numeri che può sfoggiare l’area archeologica sono notevoli: 78 ettari di estensione, circa 6,5 milioni di visitatori all’anno, oltre 42 milioni di introiti da biglietteria. […]

Messaggero

Atac, i funzionari rischiano il posto (Simone Canettieri – Mauro Evagelisti)

Può bastare lo sciopero di sei macchinisti a bloccare le corse della principale linea della metropolitana? Evidentemente sì. Il caos di venerdì nasce da qui: Atac – e quindi il Comune – sapeva da tre giorni della protesta ma non sono state attivate le contromosse. Come la turnazione e il comando del personale (40 in tutto sulla line A). La falla nel sistema è stata denunciata dal senatore di Ncd Andrea Augello. Iniziano qui le responsabilità di Atac nella gestione dello sciopero di venerdì deflagrato perché non sono state rispettate le fasce di garanzia. E non è un caso che il Garante abbia messo nel mirino non solo i sindacati ma anche la municipalizzata. Che intanto ieri nel tardo pomeriggio è tornata a riunire la commissione disciplinare che indaga sul caso e scrive una relazione che in queste ore sarà portata sul tavolo dell’ad Broggi. E’ presieduta da Vittorio Sebastiani, direttore dell’esercizio delle metropolitane, e ne fanno parte i massimi dirigenti dell’azienda. Le sanzioni stanno per colpire soprattutto i controllori del traffico, quelli Dct, la direzione centrale traffico. A rischio 4 funzionari. E’ uno dei controllori del traffico, come si sente nelle registrazioni, a ordinare al macchinista di fermarsi.

«Se il macchinista non avesse rispettato l’ordine, avrebbe rischiato di essere sanzionato. Solo la direzione centrale del traffico può decidere se un treno della metropolitana può partire, fermarsi, continuare la sua marcia. In caso di incidente, se il macchinista viola una disposizione, rischia grosso». In sintesi, è la domanda che ieri risuonava nella riunione della commissione: perché il dirigente del traffico ha ordinato al macchinista di fermarsi visto che la fascia di garanzia non era ancora terminata e lo sciopero non poteva cominciare? Uno dei controllori del traffico di linea era stato ascoltato il giorno prima. La sua tesi è che ha seguito alla lettera il protocollo previsto dall’Atac per questo tipo di situazioni.

Ma la commissione vuole anche capire in che modo l’azienda si era preparata allo sciopero: aveva predisposto la macchina organizzativa in modo da ridurre al minimo i disagi ai cittadini? Alla luce di quanto successo, pare proprio di no. Se i macchinisti ora sono finiti sotto accusa, potrebbero però non essere soli: anche perché c’è un fil rouge che unisce chi sta alla Dct e chi guida i treni della metropolitana. In molti casi il dirigente del traffico è un macchinista che ha fatto carriera. E i dirigenti del traffico sono una categoria molto forte, blindata e sindacalizzata. […]

Repubblica

Giovani, maschi e laureati i nuovi imprenditori romani puntano sulle idee hi-tech (Valentina Lupia)

Laureato in economia, ingegneria o informatica, con esperienza all’estero, prevalentemente di sesso maschile e over 35: è questo l’identikit del nuovo imprenditore romano. L’ultimo anno ha visto più che raddoppiate le start-up della capitale, che sono passate da 128 a 270, con un aumento del 110%. Le giovani aziende, stando alla fotografia scattata dalla ricerca “L’ecosistema romano delle startup 2.0” presentata ieri da Confcommercio, sono attive in prevalenza nei campi di internet e dell’Information technology e godono di ottima salute. Sfiora infatti il 31% (rispetto al 15,7% del 2014) la percentuale di “piccole” che fatturano tra i 100 e i 500 mila euro annui, mentre sono scese dal 42,1% del 2014 al 26,5% di oggi quelle con ricavi medi inferiori ai 10mila euro. Le start-up impiegano, nel 65,3% dei casi, da uno a 5 dipendenti. Ad avviarle, in quattro casi su cinque, sono uomini, ma la percentuale di romane che ha deciso di mettersi in proprio è comunque più alta rispetto al dato nazionale, fermo al 15%.
Nate grazie all’aiuto di incubatori d’impresa o a programmi pubblici di sostegno — solo in un caso su 5 — le start-up lavorano in spazi di co-working per lo più all’interno del Gra, condividendo idee, oltre che scrivanie e costi per navigare su Internet. Su due cose gli startupper sono quasi tutti d’accordo: la difficoltà nel reperire fondi e il rapporto poco soddisfacente con le istituzioni. Il finanziamento avviene principalmente con fondi personali (44%), solo nel 17% dei casi deriva da gare e concorsi pubblici o privati e nell’11% dalle banche. Il 12% delle esordienti ha trovato fortuna nei venture capitalists, il 6% nei “business angels”, uomini “d’impresa” che credono nel progetto. «Ma gli investitori sono pochi rispetto alla domanda », spiega Matteo Colò, Ceo e co-founder di Wanderio, portale che permette di pianificare un viaggio fin nei minimi dettagli.
La burocrazia lumaca è la maggiore causa di malcontento verso le istituzioni. Ma «anche partecipare ai bandi è complicato — spiega Monica Archibugi, fondatrice di Le Cicogne — la raccolta dei documenti è complessa e i soldi pubblici arrivano mesi dopo, noi abbiamo aspettato un anno e non abbiamo potuto considerarli nel business plan». […]
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