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“HOSPICE NEONATALE”: IL SENSO E LA BELLEZZA DI UNA VITA DESTINATA A DURARE POCHE ORE

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Ha senso nascere per vivere poche ore? Dove è la bellezza di una vita avvolta da subito nel dolore? Sono le domande che tormentano i genitori dei bambini a cui, già in utero, viene diagnosticata una malformazione incompatibile con la sopravvivenza. Questi temi urgenti saranno al centro della riflessione del convegno “Hospice neonatale: un senso alla vita breve”, che si terrà il 25 ottobre alle ore 16:30, presso il Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e d:ella Famiglia (P.zza S. Giovanni in Laterano 4, Roma). Fra le partecipanti, vi sarà anche la Dr.ssa Monika Grygiel, psichiatra del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II.

Questo incontro del 25 ottobre affronta un tema molto importante e delicato, ma di cui non si parla spesso. Questa è un’occasione per affrontarlo invece a viso aperto?

Certamente è un tema di cui si parla sempre più spesso, soprattutto dopo la drammatica vicenda prima di Charlie Gard e poi di Alfie Evans. Crediamo importante sostenere la cultura della vita e dare spazio ad esperienze che, superato il rifiuto e l’inaccettabilità per il dolore che le anima, avvicinate con grande professionalità e umanità, aiutano a comprendere la drammaticità della vita. L’evoluzione della medicina e delle sue tecnologie, inoltre, ci pone di fronte a questioni nuove di cui è importante parlare anche per riflettere sulla missione del personale sanitario e sul compito dei genitori.

Come si accompagna un genitore lungo questo percorso, sin dalla comunicazione della malattia?

Innanzitutto, ascoltandolo e offrendo una relazione e uno spazio di qualità dove poter esprimere ed elaborare emozioni, paure e riflessioni. È fondamentale che i genitori avvertano la presenza di qualcuno che li vede davvero, per mettere in moto una proposta di collaborazione: solo una vera alleanza con i genitori può migliorare la qualità e l’efficacia delle cure proposte. Il bambino stesso, il paziente, non può che essere rassicurato e rasserenato dalla percezione di avere attorno a sé un team che si aiuta a vicenda per il suo bene. I genitori sono confortati quando hanno la certezza che ciò che desiderano per il loro figlio coincide con l’idea del “best interest” proposto dai curanti. Compito dei curanti è comprenderlo e talvolta, quando necessario, rendere più realistiche le aspettative dei genitori, compressi tra dolore e desiderio, ma mai sostituirsi ad essi.

Come si assicura ai bambini malati una qualità di vita “dignitosa”, e quali sfumature assume questo termine per una vita così breve?

L’hospice neonatale, nell’esperienza della dr.ssa Elvira Parravicini, offre un protocollo terapeutico chiamato “Comfort Care”, che rispecchia quello che ogni madre desidera offrire al proprio bambino, soprattutto se ammalato: protezione, cura e certezza di essere amato. L’accudimento che ne deriva fornisce calore e cibo, lenisce il dolore ed evita nei limiti del possibile la sofferenza fisica. Non è facile definire gli standard di “vita dignitosa”, del bambino e dei suoi familiari, ma sappiamo, e non solo perché lo immaginiamo, ciò che ogni bambino chiede ad un genitore, ciò che ciascuno di noi in fondo desidera nel proprio cuore per la propria vita, breve o lunga che sia.

Quale sostegno può essere dato ai genitori dopo la perdita del bambino? Come evitare che questo comune dolore li separi, invece di avvicinarli?

In molti centri si usa fare la “memory box” con il calco dei piedini e manine del bimbo, foto o altri ricordi. I segni della vita concreta, vissuta e condivisa assieme, aiutano ad elaborare il lutto e a rinforzare ciò che di bello e positivo è accaduto, nonostante la perdita. La percezione di aver potuto collaborare e di essere stati fatti partecipi delle cure somministrate può diminuire il senso di colpa o ad esempio il timore di “non aver fatto abbastanza”, che spesso poi agiscono da detonatori all’interno della coppia. Credo che sperimentare il dolore per la morte di un figlio sia un delicato equilibrio di vissuti individuali, forse a volte non condivisibili per quanto personali ed intimi, e vissuti di coppia e di genitori. Aiutare a non dimenticare, a non fuggire, ma a dare un senso alla vita breve di un figlio anche all’interno della coppia genitoriale può essere fondamentale nell’elaborazione del lutto.

Come si sostiene psicologicamente e spiritualmente il personale medico che vive nel quotidiano questi casi? Come riescono a non perdere il senso della propria vocazione e come sostenere la propria empatia?

L’incontro con il dolore e la morte, l’esperienza dell’impotenza e dei limiti umani dovrebbero far parte del cuore della vocazione di ogni medico e operatore sanitario. Sta ad ognuno di noi la capacità di tenere vivo il cuore, e non anestetizzarlo di fronte a troppo dolore, sapendo chiedere aiuto quando sentiamo di non tollerare più la durezza della realtà. Non è facile tenere viva la bellezza della vita, di fronte ad un impatto continuo con la sofferenza e con situazioni che sembrano solo negarlo. Non è facile affermare la bellezza della vita di fronte ad una morte certa e sentita come ingiusta. Proprio il limite e il senso di impotenza dovrebbero però portare il nostro sguardo ad un Altro che ha voluto dare la vita, seppur brevissima, e questo, per chi ha la fortuna di vivere anche una dimensione spirituale, può aiutare a dare un ulteriore senso al nostro lavoro di medici.

(Foto: https://www.istitutogp2.it/dblog/default.asp )

Maddalena Tomassini

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