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DAL GAMBIA E DALLE STRADE DI ROMA TRE STORIE DI IMMIGRAZIONE SEGNATE DAL RISCATTO CON LO SPORT

Foto Us Acli5


 

Si chiamano F. L. e C. H. e arrivano dal Gambia i due fuori classe che militano con il CAS CASILINO I nella IX edizione del Torneo inter-parrocchiale di calcio a 5 Giovanni Paolo II promosso da US ACLI Roma. L’iniziativa è promossa dall’Unione Sportiva delle Acli di Roma in collaborazione con le Acli di Roma, con il patrocinio della Regione Lazio, di Roma Capitale, del Comitato Regionale Coni Lazio e della Comunità Ebraica di Roma. La finale si terrà il prossimo 11 luglio a Roma.

Due atleti formidabili, dunque, che stanno portando avanti la loro squadra a suon di goal. Ma la loro storia è quella di tanti immigrati che sono arrivati nel nostro Paese con un barcone. F e C. raccontano, con le lacrime agli occhi, che hanno impiegato tre mesi a piedi ad arrivare dalla loro città in Libia dove credevano di trovare una speranza. Ed invece proprio lì si è aperto per loro un vero e proprio inferno perché non avevano i soldi per pagare i cosiddetti scafisti. Le porte delle prigioni libiche si sono aperte e li hanno inghiottiti per ben 3 mesi in condizioni umane ed igieniche inverosimili.
F. e C. raccontano che per uscire di prigione – ci tengono a sottolineare “detenuti senza motivo” – hanno dovuto accettare un lavoro di 4 mesi nei campi per raccogliere i soldi per potere salire sui barconi. Un lavoro massacrante per oltre 14 ore al giorno. Dopo mesi di duro lavoro sono riusciti a salire su un barcone, che in 24 ore li ha portati in Sicilia. Tutte e due raccontano di avere avuto una grande paura perché erano stati stipati come merce in un’imbarcazione piccola e mal messa ed anche perché vedevano il mare per la prima volta. Dopo l’arrivo in Italia è l’accoglienza straordinaria di tutti dalla Guardia Costiera alle associazioni di volontariato per loro è iniziata una nuova vita. Hanno imparato l’italiano ed oggi un fa il barbiere all’interno del CAS Casilino I e l’altro non si nega a lavori di meccanica e come imbianchino. In attesa che i documenti arrivino al più presto.

Entrambi sono entusiasti di fare parte della grande famiglia di US ACLI Roma grazie alla quale raccontano “non solo prendiamo parte al torneo delle parrocchie da due anni, ma siamo andati anche a Bologna per una partita “in trasferta” in occasione di un inedito gemellaggio con la Capitale nel nome di Papa Francesco organizzato dalle Acli e dall’US Acli di Roma e Bologna. In quell’occasione abbiamo affrontato la squadra della Cooperativa Sociale Camelot – Officine Cooperative di Bologna. E’ stato bello potere incontrare altri rifugiati come noi grazie al calcio e vedere un’latra città italiana”.

A volte l’emarginazione e la sofferenza non sono troppo lontane da noi. Spesso le incrociamo nelle nostre strade, nei nostri quartieri. La storia di D. 16 anni di etnia rom è la cartina di tornasole di come a volte la nostra città possa escludere senza appello. Anche lui calciatore dalle grandi promesse milita nella squadra degli Ercolini di Don Orione nello stesso torneo intitolato a Papa Wojtyla promosso dall’US ACLI Roma. Il ragazzo sicuro talento del calcio si definisce “zingaro”.

“Sono venuto in Italia con con mia madre- racconta – mentre i miei due fratelli di sette e sei anni sono rimasti a casa insieme a mia nonna. Lei ha 43 anni ed è malata al cuore, dovrebbe operarsi ma ci vogliono tanti soldi. Siamo arrivati una mattina e subito ho costruito una baracca, perché non avevo un posto dove stare insieme a mia madre. Abbiamo passato tutti questi mesi nella baracca, ma non c’erano altre scelte. Abbiamo paura che ci mandino via, non possiamo stare là. Ogni tanto passa la polizia a fare controlli, forse è la gente che la chiama. Ci sono anche altri come noi. Tutti che abitano nelle baracche”.

“Quando sono arrivato a Roma – aggiunge –  non conoscevo nessuno.  I vestiti che ho me li hanno dati i volontari dell’associazione Ercolini di don Orione affiliata all’US ACLI di Roma grazie alla quale prendO parte da anni a diversi tornei giovanili. Poi ho cominciato a chiedere l’elemosina e con quei i soldi posso solo comprarmi qualcosa da mangiare. Anche mia madre chiede l’elemosina. Davanti alle chiese, nei centri commerciali, per strada. Molte persone non ti guardano nemmeno. Nei posti dove vado più spesso con qualcuno ho fatto amicizia. Se uno mi riconosce magari si ferma a parlare. Un signore mi ha portato dei vestiti suoi. Me li ha regalati”.

“Le giornate sono sempre così. Giorno per giorno – prosegue – la maggior parte del tempo in giro per guadagnare un po’ di soldi. In centro non andiamo mai, restiamo in zona, vicino a dove viviamo. Per ora è così. L’unica gioia la trovo nel calcio. Il Torneo delle parrocchie per me vale più di un vero Mondiale!”.

“Questo momento – conclude – dove posso fare sport e stare insieme ad altri <<ed uguale agli altri>>  è un grande dono, mi aiuta tanto. Forse vorrei tornare in Romania, ma con un po’ di soldi. Vorrei riunire tutta la famiglia, stare insieme. Ora posso solo parlare al telefono con mia nonna e miei fratelli. Vado alla stazione e chiamo da una cabina. Spero che le cose migliorino”.

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