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ALLARME DELLA FNOPI, “NEL LAZIO MANCANO 1000 INFERMIERI”

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Quota 100: il servizio pubblico potrebbe perdere di colpo oltre 22.000 infermieri, mentre almeno 75.000 rientrerebbero nei parametri per accelerare il pensionamento”. E’ il dato, diffuso in una nota, elaborato dal Centro studi della Federazione degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) sulla base agli anni di anzianità lavorativa e all’età anagrafica degli infermieri dipendenti del Ssn. Secondo l’analisi, relativa al 2018, in Italia sono 11.567 coloro che hanno raggiunto il limite naturale di età alla fine dello scorso anno, mentre con quota 100 lo raggiungono in 74.532. Di questi, lo studio stima che una media del 30 per cento potrebbe usufruire immediatamente dell’agevolazione, ossia un totale di 22.360 infermieri in meno “da subito”. Il totale è calcolato sommando i numeri relativi alle singole regioni. In particolare, nel Lazio sono 3.517 coloro che raggiungono l’età pensionabile grazie a quota 100, mentre sono 1.055 coloro che potrebbero usufruire dell’agevolazione da subito (la “carenza immediata”). Un numero che si aggiunge alla carenza attuale di infermieri, sempre riportata dallo studio, pari a 3.013, per una carenza totale nel territorio regionale pari a 4.068. “Chi esce dalla professione attiva per ‘Quota 100’ – dichiara Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi – deve essere subito rimpiazzato, al di là dell’economia e della politica. Anche il blocco del turn over va ovviamente superato e le carenze gravissime attuali devono essere coperte, ma è assolutamente impensabile indebolire a questo punto i servizi e farlo per di più a maggior danno proprio del territorio, dove personale e servizi sono più scarsi e gli assistiti sono più fragili perché caratterizzati da forme di cronicità, età il più delle volte avanzata e spesso non autosufficienza. Il nostro allarme indicava già che seguendo il trend attuale di turn over e di fabbisogno di professionisti, si sarebbe raggiunta nel 2021 una carenza di quasi 64mila unità, oggi di 51-53mila infermieri. Ma ora la situazione è in picchiata e i quasi 75mila infermieri che verrebbero a mancare – 22mila da subito – rappresentano un pericolo reale e immediato per assistenza, servizi e soprattutto pazienti: il sistema non funziona senza infermieri e con 76mila in meno è al collasso annunciato”.

“Il rapporto numerico infermieri pazienti era già ai limiti del rischio prima di ‘quota 100’ – spiega Tonino Aceti, portavoce Fnopi – ma ora con questa ulteriore emorragia di professionisti la situazione si aggrava. Se studi internazionali, Oms e Ocse hanno spiegato ampiamente che riducendo il numero di pazienti assistiti da un infermiere (il numero ideale per abbattere la mortalità del 20 per cento sarebbe 1:6) l’assistenza migliora la sua qualità e si riduce il rischio, ora con la fuoriuscita di oltre 20mila infermieri i numeri salgono. In alcune Regioni, quelle più colpite dai piani di rientro e quindi dal blocco del turn over, il rapporto sale alle stelle: in Campania ad esempio, se con la carenza di oltre 50mila infermieri il rapporto era già 1:17, ora si rischia di sfiorare l’1:19-20. Inoltre, più del 36 per cento delle nuove fuoriuscite dal sistema avverranno nelle Regioni in piano di rientro, già gravemente colpite dal blocco del turn over e il 61 per cento delle nuove carenze è nelle regioni che dal nuovo sistema di monitoraggio del Livelli essenziali di assistenza risultano inadempienti. Il combinato disposto tra l’attuazione di ‘Quota 100’, il mancato superamento del tetto di spesa per il personale sanitario e il blocco del turnover, rischia di essere la formula perfetta per ‘mandare in pensione’ anche il servizio sanitario pubblico. Se non si adotteranno immediate e profonde contromisure a collassare sempre di più saranno i Livelli essenziali di assistenza già in forte difficoltà e si rafforzeranno le disuguaglianze. Aumenteranno le liste di attesa e le difficoltà di accesso alle cure da parte della popolazione soprattutto delle regioni in Piano di rientro, aumenterà la conseguente necessità di ricorrere al privato magari utilizzando le risorse derivanti dal reddito di cittadinanza, per chi lo prenderà. Ora servono senso di responsabilità e azioni concrete per far fronte all’emorragia di personale che si realizzerà nel nostro Ssn”.

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