Ostia, parte la corsa per le elezioni Per Marino è il test di metà mandato (Ernesto Menicucci)
All’americana, sarebbero delle elezioni di midterm. Quelle, cioè, di metà mandato, nelle quali – negli Usa – si sonda il consenso del presidente. A Roma, questo ruolo tocca ad Ostia. La sfida sul litorale, infatti, quando ci sarà, rappresenterà il primo vero test per la giunta Marino e per il centrosinistra, abituato finora a giocare senza rivali: vittoria al Comune, alla Regione, in quindici municipi su quindici. Ora, però, con le dimissioni del minisindaco Andrea Tassone, si apre una nuova finestra, vissuta dal Pd come un’insidia e dalle opposizioni (centrodestra, Marchini, Cinque Stelle) un’opportunità.
Perché è chiaro che, col malcontento che c’è in riva al mare, nel X Municipio, coi venti di secessione che tornano a spirare da quelle parti, il nuovo presidente di Ostia — a seconda di chi sarà — rischia di diventare il vero anti-Marino. Il tutto, naturalmente, se prima non c’è il terremoto politico. Per l’eventuale seconda ondata di Mafia Capitale, o per l’ipotesi che Renzi decida di anticipare le politiche. In ogni caso, è su Ostia per il momento che i partiti affilano le armi. Nelle opposizioni, c’è un dialogo in corso tra la lista Marchini (il capogruppo, Alessandro Onorato, è nato e cresciuto sul litorale) e Forza Italia, il cui coordinatore romano è Davide Bordoni, ex presidente del municipio, assessore con delega sul territorio sotto la giunta Alemanno. ù
L’idea è che la sfida nel X Municipio diventi un laboratorio politico, in vista delle comunali. I berlusconiani, nei prossimi giorni, partiranno con la loro campagna: volantini, manifesti, iniziative pubbliche (una, già in programma, con Maurizio Gasparri, Antonio Tajani e Nitto Palma). Mentre dalle parti di Marchini si stanno sondando personaggi della società civile: ex magistrati, ex ufficiali della Guardia di Finanza.
E il Pd? Nei democrat, al momento, c’è grande imbarazzo. Ma, al Nazareno, stanno drizzando le antenne. Ieri il senatore Stefano Esposito ha postato su Facebook: «Balini proprietario nove stabilimenti del porto impaurito dalle ruspe chiede aiuto a stampa di Ostia per unirsi contro Pd #noncifermiamo ». […]
«Il patto di stabilità porterà 40 milioni a Roma Capitale» (S. Can.)
Quaranta milioni solo per Roma, altri cinquanta per il resto dei territori sparsi nelle province di Rieti, Frosinone e Latina. Così la giunta regionale di Nicola Zingaretti allenta i patti di stabilità dei Comuni per consentire «agli enti locali di saldare i debiti pregressi per opere pubbliche dando di conseguenza respiro alle imprese che aspettano da tempo i pagamenti».
Tecnicamente la manovra economia si chiama «cessione di spazi finanziari». Consiste nel patto di Stabilità verticale: si riconosce maggiore possibilità di spesa in conto capitale ai propri enti locali, rideterminando, contestualmente, il proprio obiettivo programmatico. Il risultato? Consente ai comuni di attuare maggiori investimenti. «Con questa delibera – spiega l’assessore al Bilancio, Alessandra Sartore – la Regione va incontro ai Comuni del Lazio e alle Province che ne hanno fatto richiesta per un totale di 97.508.713,75 di euro e, per la prima volta, attribuiamo spazi finanziari a Roma Capitale per 39.225.437,13 di euro». Zingaretti fa un discorso più ampio: «Così siamo sempre più vicina alle esigenze del territorio, con interventi tangibili. Abbiamo riattivato la macchina dei pagamenti, saldando debiti per 8,4 miliardi di euro, e adesso con il patto di stabilità incentivato diamo un ulteriore impulso al tessuto economico consentendo agli enti locali di pagare le imprese e quindi di far ripartire gli investimenti». La novità è che per la prima volta il Campidoglio entra nell’artificio contabile introdotto nel 2012. I quaranta milioni sono visti da Zingaretti come un «sostegno importante» per il piano di rientro del Comune, costretto a 440 milioni di tagli dal Governo in cambio dell’ultimo Salva Roma. […]
Super-controllori, spreco da 8 milioni (Carlo Picozza)
Nel Lazio, per i 378 Comuni, le 22 Comunità montane, le 15 aziende sanitarie, gli Oiv costano più di 8 milioni all’anno (il Campidoglio spende 90mila euro per il suo, la Regione 60mila). E ognuno dei tre componenti di un Oiv percepisce fino a 20mila euro, una dozzina in più di quanti, legge regionale alla mano, gliene spetterebbero (il 5% della retribuzione del dg). In cambio di cosa? Di riunioni. Che, in un anno, si contano sulle dita di una mano. Gli Oiv non servono contro clientele e malaffare. Le loro poltrone, però, ambitissime, sono diventate una sine cura per politici trombati, amministratori, dipendenti pubblici a caccia di compensi aggiuntivi, che spesso le occupano senza requisiti né competenze.
Gli stessi ex dirigenti, nazionali e regionali, del Tribunale del Malato avevano trovato negli Oiv una fonte integrativa di reddito, collocandovisi in modo sparso. A nominarli sono stati i dg delle aziende sanitarie delle quali quel “Tribunale” sarebbe dovuto essere controllore, a volte controparte, non certo parte integrante e remunerata. Tant’è, non sembra sia stata presa sul serio l’esistenza di un conflitto di interessi, di una incompatibilità né ci si è turbati più di tanto per la mancanza dei titoli.
Già, i titoli. Dopo la cosiddetta riforma Brunetta (il decreto legislativo 150 del 2009, che dichiarava di spazzare via le clientele ma lasciava ai vertici politico-amministrativi le nomine), ecco i requisiti e gli impedimenti (in gran parte disattesi) per i controllori pubblici. Li prevedono le delibere 4/2010 e 12/2013 della vecchia Civit, oggi Autorità nazionale anticorruzione, presieduta dal magistrato Raffaele Cantone. E sono chiari: per occupare quelle poltrone occorre conoscere l’inglese, avere una laurea in giurisprudenza o affine, un’esperienza triennale nel management; è vietato accomodarvisi, invece, se si è prossimi alla pensione, se si parenti, affini o conviventi con i dirigenti dell’ente o dell’azienda da controllare, se si ricoprono (o si sono ricoperti nel triennio precedente la designazione) incarichi pubblici elettivi o nei sindacati. La realtà si è incaricata di infrangere questi vincoli. Consultare i curricula pubblicati nei siti web delle istituzioni o delle aziende sanitarie per credere.
«Dopo che la Regione ha ribadito l’incompatibilità per dirigenti del Servizio sanitario ed eletti», spiega il coordinatore della Cabina di regia per la Sanità regionale, Alessio D’Amato, «molti si sono dovuti dimettere ». Un atto opportuno e dovuto, di fronte a casi limite: se i curricula dei membri degli Oiv, soprattutto quelli di chi ha lasciato, fossero misurati con i vincoli di legge, si coglierebbe un’altra distanza tra il dire e il fare. «La ministra della Funzione pubblica, Marianna Madia», indica D’Amato, «con la riforma dell’Amministrazione pubblica, ha l’occasione per appurare l’inadeguatezza dell’operato degli Oiv». […]
“Qui è il terrore, peggio di Scampia” (Silvia Mancinelli)
«Jenet! Jenet a mamma, viè qua!». Via Amandola, San Basilio. Sono le 11,20 di domenica mattina. Il sole brucia sull’asfalto lavato del sangue e calpestato dal triciclo di una bimba che incosciente sorride, inseguita dalla mamma. Le uniche tracce della sparatoria che in quello stesso punto dodici ore prima ha ferito tre ragazzi, sono i nastri con i quali i carabinieri e i poliziotti hanno transennato l’area e ora abbandonati come cenci inutili in un angolo.
Il mercato coperto è un edificio basso e largo con poche saracinesche tutte abbassate: è chiuso, di domenica, eppure la gente nella piazza che lo separa dalla strada non manca mai. Sono le stesse facce che in quella borgata che qualcuno paragona a Scampia ci sono nate, cresciute e invecchiate.
Educate a farsi gli affari propri per evitare guai, non vedono, non sentono, non parlano. «La sparatoria? Ah, non so niente», dice la mamma platinata di Janet. Avrà paura di far crescere i propri figli in un quartiere dove si sparano o spacciano agli angoli delle strade, arruolati a buon prezzo? «Non lo so, non so niente», risponde come un mantra.
San Basilio, un agglomerato di palazzine tutte basse e popolari. Colorate, imbrattate da scritte cancellate, corrette, su una squadra odiata o un amore perduto. In quello slargo di asfalto e cemento ci si passa il tempo, sotto gli occhi dei taciturni e sempre attenti inquilini dei palazzi tutti intorno.
In largo Arquata del Tronto, la piazza alle spalle di via Amandola, ci si arriva passando per l’ecomostro tra la Tiburtina e via del Casale di San Basilio e i murales di via Recanati. Da un lato il degrado e l’abbandono, le scritte di writers svogliati ricoperte da manifesti abusivi, dall’altra le opere all’ingresso della stazione della metro e sulle facciate di palazzine occupate dagli inquilini abusivi e da lenzuola stese ogni giorno come fossero un immancabile ornamento. «Io vivo nell’appartamento dei miei suoceri – racconta Marcello -. So’ trent’anni ormai, ’ndo vado? C’ho pensato tante volte ad andarmene, ma un operaio come me con tre figli a carico deve ringrazià Dio de aveccelo un tetto sopra la testa».
Nel quartiere dove i conti si regolano in mezzo alla strada, dove la droga si vende con la stessa tranquillità con la quale ci si scambierebbe figurine, ci si nasce e ci si muore. «Se ti fai i cavoli tuoi muori quando il Signore lo ritiene giusto – precisa Antonio -. Se chiacchieri troppo, quando qualcun altro decide che è arrivata la tua ora». E infatti a San Basilio in pochi hanno voglia, e soprattutto modo, di parlare. Le finestre delle palazzine basse e colorate che circondano la piazza del mercato coperto e che in fila portano alla parrocchia vicina, sono tanti occhi che scrutano instancabili. Se nel quartiere gira una faccia nuova, mai vista, non c’è verso di sfuggire gli sguardi. Se lo “sconosciuto” di turno parla con qualcuno del posto, c’è sempre un altro pronto a origliare. Magari con la scusa del cane da portare a spasso. «Qui è normale – dice Mauro -. Le facce nuove le spiano, le seguono. Temono sempre che qualcuno parli, che faccia la spia. E’ colpa di gente così se questa zona è invivibile. I miei figli hanno paura pure a uscire di casa per andarsi a comprare una pizzetta ed io ho più paura di loro. Magari, che ne sai? Scendi in strada pe’ un caffè e ti ritrovi con un buco in fronte pe’ paga’ gli sbagli di un altro». «Io gli spari li ho sentiti – dice un ragazzo -, ma lo vedi quello? Già ce sta a imbruttì, io me ne vado. Tanto finché s’ammazzano tra di loro va bene».
Qui, però, nella borgata incastrata tra Ponte Mammolo e Settecamini, non tutti si sono arresi al dominio dei clan. Io un paio di volte ci sono andato dai carabinieri – spiega un uomo che, però, ha paura a presentarsi -. Gli ho detto che la situazione in largo Arquata del Tronto, di fronte a casa mia, è peggiorata nettamente da un anno e mezzo, da quando cioè i ragazzini hanno iniziato ad aspettare lì i loro clienti. Quella una volta era un’oasi scampata alla criminalità, invece ora ne hanno preso possesso: piazzano la droga nei cestini per avere le mani libere in caso di un eventuale controllo delle forze dell’ordine e fino ad un mese fa si servivano di una Classe A parcheggiata lì da tempo immemore alla quale avevano spaccato un vetro dietro per nasconderci le dosi da vendere. Quella signora che guarda e borbotta è una che taglia la droga, lo sanno tutti. Quando ho raccontato queste cose mi hanno risposto che comunque a questi la legge non li punisce. Ogni tanto fanno un’operazione in grande, una retata e tempo una settimana tutto torna come al solito». […]