CHIESA, PAPA FRANCESCO: “QUEL BAMBINO AFFAMATO.. ERO IO! QUEI MIGRANTI CHE TANTI VOGLIONO CACCIARE VIA.. ERO IO!”
Il tema dei migranti è uno dei più caldi in questi giorni con il Papa che si sta spendendo ampiamente e in prima persona per i corridoi umanitari; in questo contesto e con la triste notizia di Emmanuel ucciso a Fermo in un episodio di razzismo che ha coinvolto anche la moglie ha voluto interrogare la comunità cristiana, “Domandiamoci, ognuno di noi: la nostra fede è feconda? La nostra fede produce opere buone? Oppure è piuttosto sterile e quindi più morta che viva? Mi faccio prossimo o semplicemente passo accanto? Sono di quelli che selezionano la gente secondo il proprio piacere? E’ bene che ci facciamo queste domande spesso, perché alla fine saremo giudicati sulle opere di misericordia. Il Signore potrà dirci ’Ma tu ti ricordi quella volta sulla strada da Gerusalemme a Gerico… quell’uomo mezzo morto ero io. Ti ricordi? Quel bambino affamato… ero io! Quei migranti che tanti vogliono cacciare via…ero io! Quegli anziani abbandonati nelle case di riposo…ti ricordi? Ero io. Quell’ammalato in ospedale che nessuno va a trovare, ero io!”.
E’ la parabola del buon samaritano quella che usa il Pontefice per spiegare come “Gesù usa questa parabola nel dialogo con un dottore della legge, a proposito del duplice comandamento che permette di entrare nella vita eterna: amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi. Sì – replica quel dottore della legge – ma chi è il mio prossimo ? Anche noi – rimarca il Santo Padre – possiamo porci questa domanda: chi è il mio prossimo? Chi devo amare come me stesso? I miei parenti? I miei amici? I miei connazionali? Quelli della mia stessa religione?“.
“Gesù – sottolinea Papa Francesco – risponde con questa parabola. Un uomo, lungo la strada da Gerusalemme a Gerico, è stato assalito dai briganti, malmenato e abbandonato. Per quella strada passano prima un sacerdote e poi un levita, i quali, pur vedendo l’uomo ferito, non si fermano e tirano dritto. Passa poi un samaritano, cioè un abitante della Samaria, come tale disprezzato dai giudei perché non osservante della vera religione; e invece proprio lui, quando vide quel povero sventurato, ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. E il giorno dopo lo affidò alle cure dell’albergatore, pagò per lui e disse che avrebbe pagato anche tutto il resto. A questo punto Gesù si rivolge al dottore della legge e gli chiede: ’Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?’. E quello naturalmente risponde: ’Chi ha avuto compassione di lui'”
Francesco parla anche del fatto che “Gesù ha ribaltato completamente la prospettiva iniziale del dottore della legge e anche nostra! Non devo catalogare gli altri per decidere chi è mio prossimo e chi non lo è. Dipende da me essere o non essere prossimo della persona che incontro e che ha bisogno di aiuto, anche se estranea o magari ostile. E Gesù conclude: ’Va’ e anche tu fa’ così’. E lo ripete a ciascuno di noi: ’Va’ e anche tu fa’ così’, fatti prossimo del fratello e della sorella che vedi in difficoltà.”
Rimanda quindi alla carità cristiana, alla capacità di supporto e accoglienza anche, come “L’atteggiamento del buon samaritano è necessario per dare prova della nostra fede, la quale ’se non è seguita dalle opere, in sé stessa è morta’, come ricorda l’apostolo Giacomo. Mediante le opere buone, che compiamo con amore e con gioia verso il prossimo, la nostra fede germoglia e porta frutto” e da questo ne deriva una domanda ai fedeli, di certo non banale: “la nostra fede è feconda?”