ACLI ROMA: LE DONNE DELLA CAPITALE NON SI SENTONO SICURE NÉ ADEGUATAMENTE RAPPRESENTATE
Le donne che vivono a Roma non si sentono né sicure, né adeguatamente rappresentate. È quanto emerge da un’indagine condotta dalle ACLI di Roma e provincia e presentata nel corso del quarto appuntamento online, dedicato proprio alle donne, del “Cantiere Roma”, l’iniziativa promossa in vista delle elezioni amministrative del 2021, con l’obiettivo di delineare, attraverso sei web talk, la città di oggi e di domani vista dai cittadini, quindi partendo dall’ascolto dal basso. Al termine degli appuntamenti in programma le ACLI di Roma presenteranno un documento di sintesi con spunti di riflessione e proposte ai candidati sindaco.
Dai risultati ottenuti attraverso un questionario rivolto a 750 donne, è quindi emerso che in una scala da 1 a 7 la sicurezza percepita a Roma si attesta appena a 3,67 e che ben l’81% delle intervistate non si sente adeguatamente rappresentato all’interno delle relazioni istituzionali di quartiere e della vita politica. Un aspetto, quest’ultimo, che si riflette poi sulla stessa partecipazione attiva delle donne nella comunità di appartenenza, con il 57% che sostiene di non prenderne parte. A pesare su questo dato, c’è anche il fatto che il 35% delle donne sostiene di avere 1 sola ora libera al giorno, mentre il 31% appena 2 ore.
Un quadro, questo, che va a inserirsi in una condizione già difficile per le donne a Roma anche in altri settori. Infatti, su circa un milione di persone che vengono definite non in forza lavoro, 652.000 sono donne, e il tasso di occupazione femminile, che a luglio scorso aveva raggiunto il 46,3%, risulta ancora di 22 punti percentuali sotto il corrispondente maschile. Questo, nonostante il fatto che le donne nella Capitale si laureano più degli uomini (53% dei laureati complessivi). Che Roma sembra essere stata “costruita” a misura di uomo lo paiono confermare i dati sulla toponomastica della città. Sono infatti, su un totale di 16.140 di strade e piazze, solamente 630 quelle intitolate a nomi femminili, in opposizione a quelle maschili (7.600).
A partire da questi e altri risultati del questionario, si è quindi svolto il confronto online al quale hanno partecipato la presidente delle ACLI di Roma Lidia Borzì, il professore dell’Università Pontificia Salesiana Vittorio Sammarco, autore del libro “Donne è arrivato l’arrotino”, la ricercatrice esperta di urbanistica e questioni di genere Chiara Belingardi, e l’imprenditrice e fondatrice di VIVI collezione di locali e marchio Food&Style Daniela Gazzini, che ha presentato la buona pratica “Un’impresa connessa alla città”. Ha moderato l’incontro la giornalista di Repubblica Marina De Ghantuz Cubbe.
«Le donne – dichiara Lidia Borzì, presidente delle ACLI di Roma e provincia – possono imprimere alla città quella marcia in più per la ripartenza, ma dati alla mano, pur essendo numericamente di più degli uomini, incontrano le stesse difficoltà di una minoranza. Per questo costruire una città a misura di donna vuol dire affrontare il tema in una logica trasversale e con un approccio multitasking. È necessaria una nuova narrazione capace di mettere la cura, intesa come modello di governo e governance nel segno dell’attenzione, al centro delle politiche della nostra città, facendone un nuovo paradigma urbano alla base di un nuovo modello di welfare che le faccia sentire sostenute e protette».
«Non si tratta – prosegue la presidente Borzì – di fare una città per le donne, ma di non accettare che ci sia solo un modello di città al maschile a partire anche da piccoli ma significativi gesti simbolici, per esempio, ripensando la toponomastica e la cartellonistica urbana secondo una visione rinnovata del protagonismo femminile, storico e attuale, per andare oltre l’urbanistica della disparità di genere perché quel numero esiguo di strade intitolate a donne non è solo forma, ma anche sostanza. Le donne fanno fatica a trovare un lavoro dignitoso, ancora di più con la pandemia, sappiamo che questo non è un tema di competenza comunale, ma il comune può e deve comunque giocare un ruolo essenziale pensando spazi di co-working nei diversi quartieri, che non obblighino a trascorrere ore e ore in macchina per andare da una parte all’altra oppure facendo in modo che nelle condizioni degli appalti affidati dal comune, la condizione lavorativa femminile diventi un vero e proprio parametro di valutazione premiante. Altro punto critico è la violenza, sia quella domestica che quella urbana. Invitiamo, alla luce di questo, le istituzioni e tutti i soggetti sociali ad agire in una logica di rete sinergica per riconoscere il valore delle donne con una visione della città che rimetta al centro le relazioni, quindi non solo un’azione di sicurezza, ma delle azioni di prevenzione che combattano modelli culturali distorti».
«In sintesi – conclude Borzì – siamo convinti che Roma abbia bisogno più che mai in questo momento di donne “costruttrici di comunità” e perciò lanciamo un hashtag per la città: #Romadigenere, per ripensare la città “con sguardo di donna”. Un punto di vista parziale ma non di parte, in un’ottica di condivisione e non di rivendicazione, che mette al centro l’alleanza uomo-donna e offra equità nelle opportunità per il bene di tutti».