Fatti di Roma

TORNA A ROMA DOPO 200 ANNI L’AUTORITRATTO DI REMBRANDT

Autoritratto come San Paolo di Rembrandt, ospitato alla Galleria Corsini

Torna alla sua dimora romana, dopo duecento anni e diverse vicessitudini, l’opera “Autoritratto come San Paolo” di Rembrandt. Il dipinto del periodo tardo dell’artista olandese sarà esposto alla Galleria Corsini di Roma da domani, 21 febbraio, al 15 giugno prossimo. Firmato e datato 1661, il quadro testimonia la straordinaria qualità “materica” dell’ultimo Rembrandt. Lunghe e dense pennellate di colore sovrapposte evocano l’avvolgersi del turbante, mentre tocchi più brevi di color carne conferiscono spessore e vivacità al volto. Un effetto che si accentua nel contrasto con la rapida e quasi sommaria realizzazione dell’abito e del mantello. Il richiamo a San Paolo è dato dalla presenza della spada, strumento del suo martirio, e dal volume delle epistole. Il restauro, inoltre, ha rivelato una finestra con sbarre sullo sfondo a destra, che richiama le prigionie dell’apostolo Paolo. Nonostante l’artista abbia realizzato più di 80 autoritratti in vita, questo è l’unico in veste di figura biblica: “probabilmente, in linea con la spiritualità protestante molto sentita in Olanda in quel periodo, Rembrandt sceglie di rappresentarsi nei panni dell’apostolo Paolo”, spiega il curatore della mostra Alessandro Cosma. Tuttavia non è stato possibile, ad oggi, risalire alla genesi dell’opera. Il primo accertamento è del 1696, quando compare a Parigi nell’inventario postumo di Everhard Jabach, banchiere e collezionista, ma anche uomo di fede protestante che potrebbe sia aver commissionato il ritratto, sia averlo acquistato perché interessato alla scelta di ritrarre la figura di riferimento del pensiero teologico riformato.

Tra il 1737 e il 1739 il cardinal Neri Maria Corsini, per cento scudi, acquista l’olio su tela, che sarà esposta alla Galleria Corsini di Roma da domani, da Marie-Thérèse Gosset, vedova di Nicholas Vleughels, direttore dell’Accademia di Francia, per inserirlo nella sua galleria, nella sala in cui conservava le opere più importanti, tra cui dipinti al tempo attribuiti a Raffaello e Caravaggio e poi accertati essere di bottega. “In quegli anni un Raffaello era quotato mille scudi: questo dato rende bene l’idea di quanto Rembrandt fosse poco conosciuto e apprezzato, se non per le incisioni, in Italia in quel periodo”, racconta Cosma. Successivamente l’opera fu protagonista di un episodio emblematico della dispersione di opere d’arte durante l’occupazione francese del 1799. In quell’anno infatti la famiglia Corsini fu costretta a far fronte ai tributi forzati imposti dal governo francese alle famiglie nobili romane. In assenza del principe Tommaso, allora in Sicilia, il maestro di casa dei Corsini, Ludovico Radice, organizzò la vendita di 25 dipinti della collezione al noto mercante d’arte Luigi Mirri, che immediatamente ne rivendette una parte all’inglese William Ottley. “Se lei non interviene non so come pagar la tassa”, scrive Radice nel carteggio di quegli anni al principe, che però replica: “Non intendo assolutamente approvare in verun conto il progetto fattomi”. La vendita avviene quindi clandestinamente. Tra le opere vi sono capolavori come “La visione di Sant’Agostino” di Garofalo, oggi alla National Gallery di Londra, e “Il sacrificio di Noè” attribuito a Poussin e oggi a Tatton Park. C’è anche il Rembrandt, che passa di mano in mano, tra i mercanti inglesi finché negli anni sessanta del Novecento arriva al Rijksmuseum di Amsterdam che lo ha concesso in prestito per la mostra romana che è arricchita da diverse incisioni dell’artista olandese, tra cui il celebre “Cristo guarisce gli ammalati”, nota anche come la stampa dei cento fiorini.

La leggenda vuole infatti che Rembrandt, in difficoltà economiche, per fare acquisti da un mercante anziché pagare in denaro avesse ceduto questa acquaforte attribuendogli il valore di cento fiorini. In esposizione però c’è anche la copia fatta da Charles Turner che si innamorò del quadro in una sua visita a Roma e un ritratto del principe Tommaso Corsini disposto con lo sguardo verso la sala in cui il suo Rembrandt sta di fronte al ritratto del cardinale Neri Maria Corsini “un gioco metaforico di sguardi che saluta il ritorno a casa dell’opera”, ha sottolineato Cosma. Nel 1800, infatti, il principe Tommaso iniziò una causa con Mirri e Ottley per fermare l’esportazione dei dipinti, ma riuscì a riprendere solo alcuni quadri che oggi sono esposti nella galleria: “La sacra famiglia” di Garofalo, “La madonna del latte” di Murillo, “Il ritratto del cardinale Giacomo Savelli” di Scipione Pulzone, “Il ritratto di Giulio II”, allora attribuito a Raffaello, “La Salomè con la testa del Battista” di Guido Reni, “I cacciatori a cavallo” di Philips Wouverman. Oggi anche Rembrandt, seppur temporaneamente, è tornato a casa e, insieme al celebre “Autoritratto giovanile” della Galleria degli Uffizi di Firenze, è l’unico altro olio su tela del prolifico artista olandese che può essere ammirato da vicino in Italia.

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