PAPA FRANCESCO: “UNA CURIA CHIUSA IN SÉ STESSA È CONDANNATA ALL’AUTODISTRUZIONE”
“Che questo Natale ci apra gli occhi per abbandonare il superfluo, il falso, il malizioso e il finto, e per vedere l’essenziale, il vero, il buono e l’autentico. Tanti auguri davvero!”. Così papa Francesco, nella Sala Clementina, ha aperto il suo discorso ai cardinali e ai superiori della Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi. Il Papa, poi, avendo parlato in precedenza della Curia romana ‘ad intra’, ha dedicato il suo discorso ad “alcune riflessioni sulla realtà della Curia ‘ad extra’, ossia il rapporto della Curia “con le Nazioni, con le Chiese particolari, con le Chiese Orientali, con il dialogo ecumenico, con l’ebraismo, con l’Islam e le altre religioni, cioè con il mondo esterno”.
“Una Curia chiusa in sé stessa tradirebbe l’obbiettivo della sua esistenza e cadrebbe nell’autoreferenzialità, condannandosi all’autodistruzione”, ha detto il Pontefice, aggiungendo che “Dio ha costituito la Chiesa per essere nel mondo, ma non del mondo, e per essere strumento di salvezza e di servizio”. Parlando della riforma, quindi, il Papa l’espressione simpatica e significativa di mons. Frederic-Francois-Xavier De Merode: “Fare le riforme a Roma è come pulire la Sfinge d’Egitto con uno spazzolino da denti”. “Ciò evidenzia – ha spiegato – quanta pazienza, dedizione e delicatezza occorrano per raggiungere tale obbiettivo, in quanto la Curia è un’istituzione antica, complessa, venerabile, composta da uomini provenienti da diverse culture, lingue e costruzioni mentali e che, strutturalmente e da sempre, è legata alla funzione primaziale del Vescovo di Roma nella Chiesa, ossia all’ufficio ‘sacro’ voluto dallo stesso Cristo Signore per il bene dell’intero corpo della Chiesa, (ad bonum totius corporis)”.
Parlando dei rapporti con l’ebraismo, l’islam e le altre religioni, papa Francesco ha ricordato che “il rapporto della Curia Romana con le altre religioni si basa sull’insegnamento del Concilio Vaticano II e sulla necessità del dialogo”. “Perché’ l’unica alternativa alla civiltà dell’incontro è l’inciviltà dello scontro”, ha aggiunto citando il suo discorso tenuto all’Università di Al-Azhar, al Cairo, il 28 aprile scorso. Per Francesco, “il dialogo è costruito su tre orientamenti fondamentali: ‘il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni. Il dovere dell’identità, perché’ non si può imbastire un dialogo vero sull’ambiguità o sul sacrificare il bene per compiacere l’altro; il coraggio dell’alterità, perché’ chi è differente da me, culturalmente o religiosamente, non va visto e trattato come un nemico, ma accolto come un compagno di strada, nella genuina convinzione che il bene di ciascuno risiede nel bene di tutti; la sincerità delle intenzioni, perché’ il dialogo, in quanto espressione autentica dell’umano, non è una strategia per realizzare secondi fini, ma una via di verità, che merita di essere pazientemente intrapresa per trasformare la competizione in collaborazione'”. “Gli incontri avvenuti con le autorità religiose, nei diversi viaggi apostolici e negli incontri in Vaticano, ne sono la concreta prova”, ha aggiunto.
Al termine dell’udienza, parlando a braccio, Papa Francesco ha detto: “Vorrei, come dono del Natale, lasciare questa versione italiana dell’opera di padre Beato Maria Eugenio di Gesù Bambino ‘Voglio vedere Dio’: è un’opera di teologia spirituale, ci farà bene a tutti, forse non leggendola tutta ma cercando nell’indice la parte che più interessa o di cui si ha più bisogno. Spero che faccia bene a tutti noi”.