NELLA CAPITALE CONTINUANO AD ACCUMULARSI RIFIUTI
Da diversi mesi a Roma sono lievitati i cumuli d’immondizia in strada. Da quando a marzo ha chiuso la discarica di Roccasecca, in provincia di Frosinone, a causa dell’inchiesta giudiziaria che ha portato all’arresto della dirigente regionale Flaminia Tosini e dell’imprenditore Valter Lozza, nelle vie della Capitale la situazione, già precaria, è precipitata.
Dopo un lungo braccio di ferro tra Regione Lazio e Campidoglio, due giorni fa la sindaca di Roma e di Città metropolitana, Virginia Raggi, ha annunciato l’arrivo di un’ordinanza urgente per chiedere la riapertura della discarica di Albano Laziale. Immediatamente si sono sollevati i sindaci dei Castelli romani che hanno annunciato barricate e già avevano protestato quando, in un tavolo ministeriale, era emersa l’ipotesi di conferire lì i rifiuti della Capitale.
A oggi, con Roma che produce circa 2.500-3.000 tonnellate al giorno di indifferenziato e Ama che ha dichiarato la necessità di smaltire 18 mila tonnellate a settimana, i rifiuti vengono spediti in diversi impianti per il trattamento. Per lo smaltimento – per effetto degli accordi raggiunti tra Ama, Regione Lazio e Roma Capitale – a partire da luglio e fino a fine dicembre i rifiuti romani andranno in 5 regioni diverse.
Fino al decorrere di quegli accordi avrebbe dovuto funzionare il meccanismo delle ordinanze regionali che distribuivano l’indifferenziato di Roma tra le discariche di Viterbo e Civitavecchia e, per circa 1.400 tonnellate settimanali provenienti dai due Tmb di Malagrotta, presso l’impianto di Sogliano Ambiente in provincia di Forlì-Cesena. Qualcosa dev’esser andato storto, però, se i rifiuti restano in strada e forse non si raddrizzerà neanche da qui a ottobre, quando nella Capitale si voterà per scegliere il sindaco.
Per quanto riguarda Albano Laziale, su cui ancora deve essere emessa l’ordinanza di Raggi, la discarica è di proprietà di Manlio Cerroni ed è composta da sei invasi già colmi e un settimo che ha ancora una capienza di 200 mila tonnellate. Il sito è chiuso dal 2016, da quando un incendio distrusse completamente il Tmb al suo interno. Si tratta di un’area strutturata per accogliere rifiuti post trattamento, pertanto qui Ama potrà scaricare soltanto scarti lavorati e non il tarquale. Dal momento in cui Raggi emetterà l’ordinanza la Regione Lazio avrà 120 giorni di tempo per autorizzare o meno il conferimento. Il via libera dovrebbe arrivare quindi non prima di settembre. Sempre ammesso che l’atto della sindaca non venga bloccato da una sospensiva del Tar. Il sindaco di Albano Laziale, Massimiliano Borelli, ha infatti fatto sapere che impugnerà l’ordinanza davanti al tribunale amministrativo del Lazio.
Non è escluso che l’azione possa portare la firma anche dei Comuni limitrofi del Castelli romani (Ardea, Ariccia, Castel Gandolfo, Genzano, Lanuvio, Rocca di Papa e Pomezia) tra cui ci sono però due Comuni a guida M5s, Ardea e Pomezia, che potrebbero sfilarsi dall’azione giudiziaria. Al Tar verrà chiesto di esprimersi innanzitutto sulla decisione di Raggi di emettere un’ordinanza urgente pur in assenza di uno stato di emergenza, che può essere però dichiarato o dalla stessa sindaca o in alternativa dal governo, sia prima che a ridosso della firma dell’atto; e di sospendere il procedimento tenendo conto che nei dintorni della discarica c’è un’area residenziale in cui vivono circa 2.500 famiglie e che si estende fin dentro al Municipio IX di Roma, con abitazioni a distanza di 200 e 700 metri dagli invasi.
Se il Tar intervenisse tramonterebbero su Roma le elezioni amministrative e i rifiuti romani non avrebbero comunque altro sbocco se non quello previsto dagli accordi con altre regioni. Ma anche se il Tar non fosse chiamato in causa, prima di settembre (considerati i tempi necessari per l’autorizzazione regionale) non ci sarebbe un sito in cui scaricare i rifiuti. Anche se Roma Capitale, nel frattempo, indicasse un’area per la realizzazione di una discarica nel suo territorio. opera la cui realizzazione risolverebbe il problema sul lungo ma non sul breve periodo, dal momento che ci vorrebbero almeno sei mesi per creare una discarica in un ex cava nella migliore delle ipotesi, e almeno tre per ampliarne una già esistente.
Dalla Regione Lazio ritengono che la problematica dei rifiuti in strada sia dovuta all’incapacità dell’azienda capitolina Ama di raccoglierli, a causa della mancanza di spazi in cui accatastarli (aree di trasferenza, tecnicamente) e della sofferenza in cui versano mezzi e personale, giudicati non sufficienti alle necessità della Capitale. Dal Campidoglio, invece, contestano inerzia e inadeguatezza sul piano rifiuti regionale. Per il Campidoglio i rifiuti sono in strada a causa della “ridotta capacità di trattamento degli impianti” che “è legata all’assenza di sbocchi nelle discariche laziali e alle difficoltà tecniche ed economiche di avviare accordi fuori Regione”, ha affermato l’assessora ai Rifiuti di Roma, Katia Ziantoni, spiegando che “le ipotesi di Roccasecca e Albano erano già al vaglio degli enti convocati presso il Ministero della Transizione ecologica” perché “la stessa discarica di Civitavecchia esaurirà le volumetrie residue nel mese di agosto. Così un piano regionale dei rifiuti basato sullo smaltimento in discarica rimane con un solo impianto in tutta la Regione, quello di Viterbo”.
E sempre dall’assessora ai Rifiuti capitolina, tesi poi sposata e rilanciata da altri consiglieri del M5s sui social, è arrivata un’accusa: “Hanno paura che Virginia Raggi vinca di nuovo. E per questo stanno volutamente lasciando i rifiuti in strada, tenendo in ostaggio Roma e i suoi cittadini”. Un messaggio rivolto alla coalizione di centrosinistra, oggi rappresentata dal candidato a sindaco, Roberto Gualtieri, e con cui non si è trovata una quadra, negli scorsi mesi, per un’alleanza Pd-M5s sotto un nome unitario alle elezioni amministrative.
Intanto, complotto o no, campagna elettorale o meno, resta da capire se l’immondizia è in strada perché effettivamente Ama raccoglie meno di quel che dovrebbe giornalmente, e in tal caso gli impianti regionali verso i quali conferisce ricevono meno di quanto previsto. O se, invece, gli impianti regionali non abbiano la capacità di trattare, e di conseguenza avviare a smaltimento, tanto quanto necessario a una Capitale in cui la differenziata è al 45 per cento. Domanda che, probabilmente, non troverà risposta per ora, e almeno fino a quando non si voterà per eleggere il sindaco di Roma.