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IN 13 RISTORANTI DELLA CAPITALE ARRIVA “RIMPIATTINO”, LA RISPOSTA DI CONFCOMMERCIO CONTRO LO SPRECO ALIMENTARE

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La doggy bag inizia a parlare italiano: sbarca anche a Roma “Il rimpiattino”, l’iniziativa che Confcommercio Fipe, federazione italiana pubblici esercizi ha lanciato assieme al consorzio Comieco in varie città d’Italia per evitare gli sprechi nei ristoranti e nei bar. Da oggi, dunque, anche in 13 ristoranti della Capitale che hanno aderito all’iniziativa, i clienti a fine pasto potranno richiedere senza alcun costo aggiuntivo quello che nei paesi anglosassoni prende il nome di “doggy bag”, un contenitore per i resti del cibo e uno per le bevande in materiale compostabile, realizzato dal consorzio di imballaggi Comieco, la cui grafica è stata creata da uno studio di design. A presentare, presso la Confcommercio Roma, l’iniziativa, già promossa e avviata su tutto il territorio nazionale, il commissario Fipe Confcommercio Roma Giancarlo Deidda, il direttore Fipe Confcommercio Luciano Sbraga e il direttore generale Comieco Carlo Montalvetti. Alla conferenza stampa hanno partecipato anche alcuni dei ristoratori aderenti. Il progetto si propone, attraverso il coinvolgimento diretto del mondo della ristorazione, di fare della doggy bag una pratica sempre più consolidata nella cultura italiana.

“Il primo obiettivo che ci siamo posti – ha dichiarato il direttore Fipe Confcommercio Luciano Sbraga – è stato quello di trovare un nome italiano al doggy bag, abbiamo scelto il ‘rimpiattino’, attraverso un concorso di idee fatto con i ristoratori: ha vinto un ristorante romano, il Duke’s. La parola ‘rimpiattino’ riguarda sia il gioco del nascondino che il ‘rimpiattare’ ciò che si è ordinato e non consumato. Un nome divertente così come i contenitori, proprio per vincere l’imbarazzo che è la prima ragione per la quale i clienti non chiedono di portarsi a casa quanto non hanno consumato. Una sfida culturale importante – ha sottolineato – perché il cibo non si spreca, non è una merce qualunque ma un condensato di valori culturali sociali e ambientali che merita il massimo rispetto. Da oggi parte il progetto a Roma con i ristoranti a cui consegniamo la prima dotazione, nei prossimi giorni andremo porta a porta a consegnarlo agli altri. Naturalmente – ha concluso Sbraga – il nostro obiettivo non è quello di fare un’operazione commerciale su questi contenitori, la nostra è un’operazione culturale per partire”. Nel corso della conferenza stampa sono stati, inoltre, presentati i dati Fipe sullo spreco alimentare in bar e ristoranti a livello nazionale. “I dati emersi riguardano l’esigenza di portare via i pasti non consumati e noi abbiamo cercato di coglierla attraverso questo progetto con un kit di contenitori”, ha spiegato il commissario Fipe Confcommercio Roma Giancarlo Deidda. Secondo la ricerca condotta dall’ufficio studi Fipe emerge che negli ultimi anni è notevolmente cresciuta la sensibilità dell’opinione pubblica e delle imprese della ristorazione sul tema dello spreco alimentare.

“La ristorazione assume un ruolo sempre più rilevante nei consumi alimentari degli italiani – ha detto Deidda – non soltanto dal punto di vista quantitativo ma anche da quello qualitativo. Oggi il 36 per cento della spesa delle famiglie per prodotti alimentari transita fuori casa e il dato più significativo è che mentre i consumi nella ristorazione sono in progressiva crescita quelli in casa diminuiscono. Ma nella ristorazione si creano stili alimentari, modelli di consumo e stili di vita. Da queste premesse – ha aggiunto – nasce l’esigenza di accompagnare anche nella ristorazione l’accresciuta sensibilità dell’opinione pubblica sul tema dello spreco alimentare nella consapevolezza che alla crescita di ruolo debba corrispondere una crescita altrettanto forte della responsabilità verso comportamenti e azioni virtuose finalizzate a ridurre gli sprechi”. Dallo studio presentato oggi emerge che secondo l’80 per cento dei ristoratori intervistati da Fipe il problema dello spreco di cibo nei loro esercizi viene considerato rilevante (tra questi il 50,6 per cento lo considera addirittura molto rilevante) e il 55 per cento dei ristoratori rileva che spesso si spreca molto cibo al ristorante perché i clienti non mangiano tutto quello che hanno ordinato e lo stesso problema avviene per il vino. “La fase del ‘processo’ di produzione ed erogazione del servizio nella quale si concentrano maggiormente gli sprechi è proprio quella del consumo – ha spiegato Deidda – Si esprime in tal senso il 51,6 per cento dei ristoratori intervistati. Ciò significa che il cibo ordinato e portato in tavola viene consumato solo in parte mentre quello che resta finisce nella spazzatura. Ma al ristorante si spreca anche nella preparazione in cucina e nella conservazione. Parte del cibo viene scartata a volte soltanto per problemi che hanno a che fare con l’estetica piuttosto che con la qualità e la salubrità. Il cibo ordinato e non consumato non è poco”. Dai dati si evince che per il 14,3 per cento dei ristoratori intervistati è molto e per il 40,5 per cento è abbastanza. Solo per un residuale 5,4 per cento non c’è spreco.

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