IL PRIMO TERREMOTO DELL’ERA “TOTAL-SOCIAL”
Si sta consumando il primo terremoto dell’era “total social”, con il suo carico di distruzione, morte, sofferenza e perdita, documentato non solo dai tradizionali mass-media, ma da milioni di persone attraverso Facebook, Instagram, Twitter, Whatsapp, Snapchat e gli altri social network. I media tradizionali -Tv, radio e giornali- hanno faticato non poco a star dietro alle notizie social, che si sono sviluppate in alcune macro-direzioni, indicative, anche se non certo esaustive, di nuove sensibilità antropologiche di cui tener conto soprattutto in campo educativo.
La prima è quella dell’emozione pseudo-empatica: si crede -ma in fondo non si è convinti più di tanto- di solidarizzare con le vittime, di provare lo stesso dolore, mentre è la propria emozione a venire gerarchicamente prima del dolore altrui; sono molte le frasi auto-centrate e non-empatiche come “sto piangendo”, “mi sono commosso”, “mi sento male”, “non ce la faccio a vedere tutto questo dolore” piuttosto che l’umanissima espressione popolare “povera gente” che porta dentro sé la sofferenza altrui, condividendola.
La seconda direzione è quella della narrazione iper-realistica, fatta di immagini esplicite di uomini, donne e –ahimè- bambini estratti feriti o morti da sotto le macerie; una narrazione persino più cruda di quella dei media tradizionali che, annusando il sangue come un carnivoro da savana, hanno inseguito la preda mediatica ferita, debole e indifesa, senza più muri di casa a proteggerne il pudore.
La terza è quella della solidarietà cripto-esibizionista, su cui si sono buttati in diversi, famosi o meno: dalla destinazione di non ben definiti proventi discografici, fino alle raccolte di beni senza tenere conto delle necessità e delle richieste dei soccorritori.
È emblematica la vicenda del fraintendimento comunicativo con Mark Zuckerberg, che avrebbe donato 500mila Euro alla Croce Rossa; in realtà il megafono mass-mediale si è accorto in ritardo che non si trattava di denaro contante ma di un plafond di ADS, ovvero inserzioni pubblicitarie gratuite su Facebook, per promuovere, cito testualmente: “ricerca di volontari, richiesta di donazione di sangue, mettersi in contatto per le persone che hanno bisogno di un posto in cui stare”. Ma -mi chiedo- la Croce Rossa ha bisogno di promuovere gratuitamente su Facebook attività che svolge da sempre in autonomia?
Così è il primo terremoto dell’era “total-social” e siamo tristi. Per i fatti drammatici e per come li stiamo vivendo.
Marco Brusati
Direttore generale di Hope