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IL DIVARIO DIGITALE STA SALVANDO LA DIVERSITA’ CULTURALE?

digital divide


Il divario digitale o digital divide è la distanza sociale tra chi può accedere alle tecnologie dell’informazione e chi ne è escluso del tutto o in parte. Se a un polo troviamo il diciottenne che usa uno smartphone per comprare in rete su Amazon, all’altro polo troviamo  l’ottantenne che ha un cellulare con cui chiama i figli e si serve dal negoziante sotto casa. A livello globale, esiste un divario digitale  tra Nord e Sud del mondo e, seppure in maniera meno evidente, tra Ovest ed Est. È intuibile che il diciottenne della middle-class europea o americana possa accedere alla rete con diversi strumenti informatici e con più facilità rispetto ad un coetaneo in Sud Sudan o in Cina.

In Italia e nel mondo, da vent’anni si susseguono interventi, con miliardi di investimenti pubblici, per colmare il divario digitale e sembra tutta una gara di generosità per aiutare chi è rimasto fuori dal giro, tanto che appare quantomeno singolare che gli sforzi per portare il cavo di internet negli angoli più remoti del pianeta siano più evidenti di quelli per portare pane, acqua e servizi igienici.

Tuttavia, pur nella positività di essere tutti collegati in rete, più si colma il digital-divide, più si accentua lo human-divide, ovvero la distanza tra i pochissimi che controllano la produzione di contenuti planetari e chi ne fruisce. Le grandi compagnie globali dell’informazione come Google o Facebook hanno sede nella democrazia lobbistica statunitense e sono naturalmente esposte all’influenza di gruppi di interesse, finanziari e culturali, sempre più mescolati tra loro. E così l’agenda culturale dettata da un’esigua minoranza è già divenuta agenda per il mondo occidentale. Si pensi, per esempio, alla ri-creazione dell’essere umano secondo le categorie gender-fluid, per cui si è maschio o femmina come ci si sente in un determinato momento; si pensi alla riduzione utilitaristica dell’essere umano a soggetto produttivo di beni e servizi commercializzabili, per cui anche le strutture ecclesiastiche stanno chiudendo collaborazioni non protette da accordi sindacali, i cosiddetti “partiva-Iva”; si pensi all’ipertrofica idea di libertà, per cui è libero solo chi fa quel che vuole.

Giorno per giorno, pare, ci stiamo spostando verso il PUG, il Pensiero Unico Globale, che avrà ripercussioni sempre maggiori anche a livello legislativo, mentre coloro che, secondo questa logica, sarebbero gli svantaggiati, in realtà possono ancora ragionare al di fuori delle categorie del Pensiero Unico Globale, con l’ineludibile vantaggio di potersi preparare all’aggancio online con il mondo mantenendo la loro identità culturale. Tornando all’esempio iniziale, non è detto che il diciottenne on-line sia capace di comprare meglio dell’ottantenne off-line, né che sia più capace di vivere relazioni soddisfacenti con i suoi amici, né che sia più empaticamente vicino ai bisogni degli altri.

È triste da dire, ma c’è da chiedersi: il divario digitale sta salvando la diversità culturale del pianeta?

Marco Brusati

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