IL DIABETE E’ DI 5 TIPI, NON DI 2
Non solo diabete 1 e 2. Sono infatti ben cinque i tipi di questa malattia in età adulta, secondo un nuovo studio che appare sulla rivista ‘The Lancet Diabetes and Endocrinology’ a firma di esperti del Lund University Diabetes Centre (Svezia) e dell’Institute for Molecular Medicine (Finlandia).
Circa 420 milioni di persone in tutto il mondo oggi soffrono di diabete, un numero che dovrebbe salire a 629 milioni entro il 2045, secondo la International Diabetes Federation. Attualmente, la malattia è divisa in due sottotipi: l’1, generalmente diagnosticato durante l’infanzia e che rappresenta circa il 10% dei casi, nel quale l’organismo semplicemente non produce insulina, l’ormone che aiuta a regolare i livelli di zucchero nel sangue; nel tipo 2, il corpo non produce invece abbastanza insulina.
Gli scienziati svelano ora una classificazione rivista che potrebbe portare a trattamenti migliori e aiutare i medici a prevedere con maggiore precisione complicanze potenzialmente letali.
I nuovi risultati, dunque, sono coerenti con la crescente tendenza verso la ‘medicina di precisione’, che tiene conto delle differenze tra gli individui nella gestione delle malattie: nello stesso modo in cui un paziente che richiede una trasfusione deve ricevere il giusto tipo di sangue, i sottotipi di diabete necessitano di trattamenti diversi, suggerisce lo studio, che ha anche identificato diversi tipi di microbiomi – l’ecosistema batterico nel nostro tratto digestivo – che possono reagire in modo diverso allo stesso farmaco antidiabete, rendendolo più o meno efficace.
“E’ il primo passo verso una cura personalizzata di questa malattia”, afferma l’autore senior Leif Groop, endocrinologo. La nuova classificazione è infatti un “cambio di paradigma” nel modo in cui la patologia viene gestita.
È noto da tempo che il diabete di tipo 2 è una condizione altamente variabile, ma la classificazione era rimasta invariata per decenni. I ricercatori hanno allora monitorato 14.775 pazienti con diabete di nuova diagnosi di età compresa tra 18 e 97 anni. Isolando e studiando le misurazioni di insulino-resistenza, secrezione di insulina, livelli di zucchero nel sangue, età e insorgenza della malattia, hanno individuato cinque gruppi distinti di malattia: tre forme gravi e due più lievi.
Questi i nuovi 5 gruppi: nel cluster 1 rientrano i pazienti con insulino-resistenza in cui le cellule non sono in grado di utilizzare l’insulina in modo efficace. Sono persone giovani e in buona salute e corrispondono più o meno ai pazienti con l’attuale tipo 1 di diabete; il cluster 2 è composto da pazienti relativamente giovani, insulino-carenti; il cluster 3 è rappresentato da persone con insulino-resistenza grave, di solito in sovrappeso: il cluster 4 comprende pazienti di mezza età con diabete correlato all’obesità, il 5, infine, riguarda persone con diabete correlato all’età, che sviluppano sintomi molto dopo rispetto alle persone comprese nei precedenti gruppi. Riguarda circa il 40% dei malati.
I dati sono stati confrontati con altri tre studi condotti in Svezia e Finlandia e “i risultati hanno superato le nostre aspettative”, dicono gli autori, confermando quanto osservato. Ora i ricercatori hanno in programma di avviare studi simili in Cina e in India, per dare ancora più forza alla scoperta.
“Premettendo che una nuova classificazione dei tipi di malattia dovrà essere discussa a livello internazionale e poi avallata dall’Organizzazione mondiale della sanità per evitare differenze a livello dei vari Paesi – commenta all’Adnkronos Salute Giorgio Sesti, presidente Società italiana di diabetologia (Sid) e docente di Medicina interna all’Università Magna Graecia di Catanzaro – rivedere quella relativa al diabete sarebbe d’aiuto. Oggi abbiamo infatti a disposizione ben 8-9 classi diverse di farmaci, ma solo 2 tipologie riconosciute di diabete per i quali possono essere indicati. Aumentandole, si potrebbero offrire cure più mirate”.
“Attraverso un confronto con le società scientifiche – spiega ancora Sesti – penso sia il momento opportuno per rivedere la classificazione del diabete affinché ci sia una maggior paragonabilità fra tipo di malattia e relativa terapia: ora abbiano solo 2 ‘categorie’, ma davvero tanti farmaci diversi”. Un’ipotesi, dunque, “che andrebbe incontro all’esigenza che oggi noi specialisti abbiamo di personalizzare il trattamento. Oltre alla 1 e alla 2, infatti, ormai sappiamo che esiste una serie di forme intermedie che possono avere caratteristiche sia dell’una che dell’altra, o, ad esempio, un’origine genetica. Tutte queste forme oggi, grazie alla ricerca che ha fatto grandi passi avanti, hanno terapie specifiche e individualizzate, che però andrebbero inquadrate in una classificazione più precisa. I colleghi scandinavi sono i primi a proporne una, altri avevano provato a introdurre il diabete di tipo 3. Vedremo cosa accadrà nella comunità scientifica mondiale”, conclude.