“GAIA E CAMILLA ATTRAVERSARONO SULLE STRISCE”, LE MOTIVAZIONI DEL GUP PER LA CONDANNA A GENOVESE

La velocità, l’uso del cellulare, l’imprudenza, la guida sotto gli effetti di alcol e i precedenti che non sono serviti a Pietro Genovese di imparare ad assumere una guida più attenta evitando di correre rischi per se e, per gli altri. Gli altri in questione sono state, purtroppo, le giovanissime Camilla Romagnoli e Gaia Von Freymann, investite ed uccise il 22 dicembre 2019 in corso Francia a Roma. Tutto il convincimento del giudice per le udienze preliminari della sezione 12 del tribunale di Roma Gaspare Sturzo che ha condannato Pietro, figlio del regista Paolo Genovese, a 8 anni di reclusione per il duplice omicidio stradale sono contenute nella motivazione della sentenza depositata ieri.
“Il fatto risulta assai grave, indubbiamente, quanto al duplice omicidio di due giovani ragazze, mediante una condotta come quella analizzata e valutata”, scrive il giudice che richiama “tutta la parte di analisi e valutazione del dato, dell’ora notturna, dell’uso del cellulare e del certificato di stato di ebbrezza alcolica e di eccesso di velocità. Non mancano i riferimenti al fatto che Genovese avesse avuto già un grave incidente, sanzioni stradali per mancato rispetto del semaforo rosso e all’uso di sostanze stupefacenti fino al ritiro della patente che gli era stata restituita poco prima del duplice omicidio. “Nonostante ciò -scrive il giudice – risultava agli atti positivo all’analisi per l’accertamento di sostanze stupefacenti. In ogni caso una normale diligenza di una persona avveduta avrebbe tratto da tutti questi precedenti ‘avvertimenti’ un insegnamento tale da evitare l’insieme di condotte che oggi hanno portato ai fatti in imputazione per cui questo giudice ha ritenuto di dover riconoscere la penale responsabilità dell’odierno imputato”. Nessun dubbio sulla capacità di intendere e di volere del ragazzo”.
Il punto cardine del dispositivo firmato dal gup Sturzo è la quantificazione della pena dato che “è assai elevato il grado di colpa dell’imputato, sotto il profilo del quantum di evitabilità dell’evento (essendo l’incidente frutto anche di una negligente scelta dell’imputato di mettersi alla guida dopo aver fatto uso di alcool, pur sapendo che era obbligato a non bere qualora avesse voluto condurre un auto, secondo la sua età e per il tempo in cui aveva preso la patente) e del quantum di divergenza tra la condotta doverosa e quella tenuta” e il giudice li elenca dall’eccesso di velocità; l’aver effettuato una serie di sorpassi utilizzando al contempo un cellulare con cui mandava messaggi; superando il limite di velocità in ora notturna; iniziando un ultimo sorpasso di un’auto che aveva cominciato a frenare e, poi, si era fermata, “senza attivare l’imputato i dovuti doveri di diligenza, nell’avvicinarsi ad un incrocio, notoriamente attraversato da diversi utenti, soprattutto a piedi, ben noto per il pericolo di improvvisi attraversamenti tra gli esercizi commerciali e le abitazioni collocate ai due lati della duplice carreggiata, e per i flussi costanti di veicoli discendenti dalla collina del Fleming, senza verificare il motivo della frenata e dell’arresto dell’auto che lo precedeva, in relazione all’incrocio incriminato, soprattutto quanto alla possibile presenza di altri utenti della strada davanti all’auto che stava sorpassando”.
È poi “nell’aver investito le due odierne vittime sulle strisce pedonali, nel tratto della terza corsia di sinistra di Corso di Francia, dopo che queste avevano iniziato l’attraversamento con il verde pedonale ma si erano fermate per aver notato alla loro sinistra provenire dal precedente semaforo ad alta velocità tre auto impegnate, di fatto, in una gara di sorpassi, e che non accennavano a rallentare, iniziando a sgombrare l’impianto semaforico, quando era già rosso per tutti i mezzi e correndo sulle strisce pedonali, verso il marciapiede al centro delle due carreggiate, dopo che l’auto ignota aveva dato loro di fatto un affidamento relativo alla concessa precedenza, non potendo tornare indietro per paura di essere investite da altre auto che sopraggiungevano e convinte di essere state notate, tanto da impegnare la terza corsia, quando era già verde veicolare ed in cui erano investite, per un tempo tale che potevano essere viste dal Genovese; violando questi o comunque discostandosi in modo netto e radicale dalle regole precauzionali, specifiche e generiche come da imputazione”.
Ecco perchè “questo giudice – scrive il giudice Sturzo – stima equo, sulla base dei criteri di cui all’art. 133 c.p. per come sopra esplicitati, infliggere a Pietro Genovese la pena finale di anni otto di reclusione per il duplice delitto di cui al capo a), concesse le attenuanti generiche ex 62 bis cp, e previo assorbimento del reato di cui al capo c) nel capo a) ed assoluzione per il capo b); con una pena cosi calcolata: pena base in relazione delitto di cui al capo a = anni otto di reclusione; ridotta per le attenuanti generiche ex 62 bis cp = anni sei di reclusione; aumentata ex 589 bis co.8 cp = anni dodici di reclusione; diminuita per la scelta del rito: anni otto di reclusione”.