DON CIOTTI, “LA CULTURA RENDE LIBERI ANCHE IN CARCERE”
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Viene presentato in questo momento al Senato, il libro di Orazio La Rocca, ” Parole di vita nuova” ( editrice Marcianum Press di Edizioni Studium, fondata da Paolo VI), con la prefazione di don Luigi Ciotti. Il volume contiene tesi di laurea e altri lavori di 14 detenuti, alcuni dei quali ergastolani.
Pubblichiamo qui un estratto della prefazione. «Il carcere che funziona non è quello che priva della libertà, ma quello che produce libertà». Queste parole — tratte dal lavoro di Francesco Argentieri, fresco vincitore del concorso “Sulle ali della libertà” ideato dall’associazione “L’Isola Solidale” per la promozione della cultura negli istituti di pena — mi sembrano una splendida sintesi del senso e del valore di questa iniziativa. Sì perché “l’umanità” e la “funzione rieducativa” della pena a cui esplicitamente richiama l’articolo 27 della Costituzione, si realizzano non solo rispettando le persone detenute nella loro inviolabile dignità — il carcere non può essere uno strumento di ritorsione — ma offrendo loro anche opportunità di cambiamento affinché, uscite dal carcere, diventino una risorsa sociale, cittadini che tutelano e costruiscono il bene comune. La cultura e il lavoro giocano da sempre in questa trasformazione un ruolo cruciale (…). La privazione della libertà prevista dalla pena deve trasformarsi — se non vogliamo trasformare le carceri in discariche sociali — in strumento per costruire una libertà vera, responsabile, che sia di beneficio alla persona detenuta, ma anche a tutta la comunità. Non è semplice e tuttavia indispensabile, di questi tempi. Tempi in cui è prevalsa un’idea distorta di sicurezza, una sicurezza elevata a “idolo” e, come tale, propagandata da certa politica che costruisce nemici immaginari per coprire le proprie omissioni e responsabilità. Ecco allora che l’accanimento contro gli immigrati, la riduzione della tragedia dell’immigrazione a un problema di ordine pubblico e di pattugliamento delle frontiere, sono comode scorciatoie per nascondere o manipolare la verità, per non riconoscere che le paure e le angosce della gente nascono dal vivere in una società che non ha più nulla di sociale e di socievole, ridotta a spazio dove vince l’individualismo estremo del “mors tua, vita mea”, dove crescono le disuguaglianze e le povertà e dove il lavoro, quando c’è, è degradato a prestazione occasionale e malpagata, ormai prossima allo sfruttamento. Una deriva che, in nome di una idea falsata e opportunistica di sicurezza, ha via via smantellato negli anni lo Stato sociale per fare sempre più spazio a uno Stato penale, teso unicamente a punire e a escludere. Con riflessi evidenti anche sull’impianto giuridico, perché è da quella falsa sicurezza, e dalla politica che ne ha fatto un cavallo di battaglia, che sono uscite leggi come la “Bossi-Fini” sull’immigrazione, la “Fini-Giovanardi” sulle droghe, la “ex Cirielli” sulla prescrizione dei reati, leggi che, dicono i giuristi più illuminati, sono le prime responsabili del sovraffollamento carcerario e della difficoltà se non impossibilità in molte carceri di conferire alla pena l’indirizzo sociale e inclusivo previsto dalla Costituzione. Per fortuna non dappertutto è così: ci sono oasi di resistenza, realtà dove associazioni e istituzioni uniscono forze e impegno per ridare speranza alle persone detenute e dunque a tutti noi. Realtà dove la parola giustizia e la parola umanità s’incontrano e si completano l’una con l’altra, perché l’umanità è l’unità di misura della giustizia e solo un mondo giusto è un mondo che può davvero dirsi umano.