Fatti di Roma

DAMIANO TOMMASI AL DON ORIONE OGGI, “SPORT E FEDE, UN TEAM FORMIDABILE”

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La fede e la famiglia – racconta Tommasi alla rivista orionina – si sono intrecciate da subito nella mia crescita, perché da bambino ho vissuto in un paesino di montagna dove la vita di parrocchia era la vita del paese, era la nostra quotidianità sia dal punto di vista scolastico che da quello sportivo. Poi, crescendo, la fede mi è servita per cercare risposte alle domande che un adolescente si fa quando sta diventando un uomo. È normale poi che la ricerca di queste risposte incida sulle scelte di vita che ognuno di noi fa. Questo percorso mi ha aiutato anche nella mia vita professionale, perché il lavoro del calciatore, che ho svolto per molti anni, è particolare anche dal punto di vista psicologico e perciò avere delle certezze e degli elementi che possano aiutarti in determinati momenti è stato molto importante.

“Bisogna riportare il calcio – aggiunge – ai tanti valori che trasmette l’attività sportiva: stare insieme, mettersi in gioco, far seguire il risultato a una preparazione, un sacrificio, un allenamento. Tutti elementi che purtroppo vengono dimenticati, perché si evidenzia sempre la parte dello sport che punta alla carriera, al successo o alla possibilità di diventare famosi. Questi aspetti dello sport incidono anche nelle scelte dei genitori, che scelgono di far fare una disciplina sportiva ai propri figli non in base alla passione del bambino o agli elementi di forza di quello sport, ma semplicemente con l’idea di capire dove quel bambino può sfondare e arrivare più in alto possibile. In realtà, nello sport, il numero degli atleti che arrivano a determinati livelli è minimo, quindi l’obiettivo dev’essere quello di arrivare a vivere una vita da sportivi in tutti gli ambiti di lavoro. Darebbe sicuramente qualcosa in più”.

“Bisogna aiutare i giovani – prosegue Tommasi – a capire cos’è che li smuove dentro, che li fa sorridere, che li fa stare bene insieme al gruppo che frequentano. Andare a fare sport pensando alla riconferma l’anno dopo, alla vittoria di un campionato o alla vittoria di una gara è quello ciò che toglie la passione, ma è proprio la passione che ti fa giocare a calcio, a pallavolo o a qualsiasi altro sport, anche quando non è strutturato. Oggi i bambini fin da piccoli vengono messi davanti a un avversario, ad altri bambini con altre maglie. Il gioco dei bambini è organizzato per gli adulti, perché ai bambini basterebbe una palla e poi le squadre le farebbero da soli. Questo è un elemento che toglie un po’ di passione o la svia”.

“Nella nostra vita – spiega –  subiamo i fallimenti o i momenti negativi perché li affrontiamo da soli, e ci esaltiamo troppo in quelli positivi sempre perché non condividiamo l’essere parte di una comunità. Lo sport, soprattutto quello di squadra, insegna a vincere e a perdere insieme ed è per questo che non bisogna pensare sempre al valore commerciale o di carriera. Quindi ognuno è indispensabile e ognuno con la sua individualità è parte di questo progetto”.

“La mia quotidianità – conclude – è fatta di piccole e grandi preghiere. Ci sono momenti più intimi e alcuni più collettivi e intensi, come è successo recentemente al funerale di Davide Astori. In un’occasione del genere riaffiorano le domande di cui parlavamo all’inizio e si cercano ancora le risposte”.

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