CASO CUCCHI, LA DIFESA: LE LESIONI NON HANNO CONTRIBUITO ALLA SUA MORTE

Per la difesa dell’imputato per l’omicidio volontario di Stefano Cucchi le lesioni riportate dal giovane non avrebbero contribuito “in alcun modo” alla sua morte. E aggiunge: “i ritardi delle testimonianze le rendono inattendibili”.
Un’arringa difensiva lanciata questa mattina dall’avvocato Maria Lampitella, legale di Raffaele D’Alessandro imputato in corte d’assise d’appello a Roma per l’omicidio volontario di Stefano Cucchi, morto a Roma il 22 ottobre 2009 dopo essere stato arrestato il 15 e picchiato dai carabinieri.
In primo grado la Corte d’assise di Roma ha condannato a 12 anni di carcere oltre a Raffaele D’Alessandro, anche Alessio Di Bernardo. Condannato anche il loro comandante di stazione Roberto Mandolini a 3 anni e 6 mesi. Il quarto imputato diventato poi il teste chiave Francesco Tedesco condannato a 2 anni e 6 mesi.
La difesa di D’Alessandro quindi, ha puntato sulla attendibilità delle testimonianze “fiorite dopo 5 anni, nel 2014, dopo il primo processo agli agenti della penitenziaria”. Il legale si riferisce alle deposizioni di detenuti che avrebbero parlato con la vittima in carcere, ai carabinieri Casamassima e Rosati, all’avvocato che avrebbe visto Cucchi claudicante il giorno dell’udienza di convalida a piazzale Clodio “testimonianze che fino al 2014 erano rimaste mute. Tedesco” definito impostore sfrontato “invece parla addirittura dopo 9 anni. Ma avrebbero parlato – si chiede il legale – se gli agenti della penitenziaria fossero stati condannati? Ognuno di loro dice anche il legale di D’Alessandro – ha un obiettivo e un tornaconto personale” per parlare.
Nell’arringa il legale non lesina stoccate anche al pm Giovanni Musarò. “C’è un regista – dice -, è chi ha condotto le indagini con intelligenza e scaltrezza, ma anche con qualche falla”. Un processo di primo grado su cui ha influito la pressione mediatica “con la realizzazione anche di un film la cui trama ricalcava solamente la tesi dell’accusa, uscito prima della sentenza. Sfido il giudice” popolare “più impermeabile a non rimanerne influenzato”. Questa vicenda “è una sconfitta dello Stato. Dal primo processo agli agenti penitenziari vittime di un errore giudiziario che ancora oggi continua con questo altro processo”.